I ricordi d’infanzia della fotografa e film-maker Shirin Neshat (Iran, 1957) si addensano attorno ai colori di un frutteto, a Qazvin nell’Iran nord-occidentale. Un luogo dove l’intimità della natura e la poesia colmavano tutti gli spazi vuoti.
Niente arte, nessun museo. Fu qualcosa di assolutamente istintivo e misterioso – legato più al realismo magico delle poetesse iraniane, con le loro metafore visuali, che alla storia dell’arte – a spingere la Neshat verso orizzonti artistici. La sua mente iniziò a visualizzare e costruire mondi. Con Women Without Men – film del 2009 in cui il destino di cinque donne converge in un giardino di orchidee – vince il Leone d’Argento al Festival di Venezia. Il giardino con alberi da frutto o fiori è infatti – in termini sia politici che spirituali – un santuario, uno spazio di libertà nella letteratura del popolo iraniano – cresciuto triste perché costantemente oppresso da forme dittatoriali. Tanto che anche a Bushwick – quartiere di Brooklyn (NYC) dove vive con il marito, la Neshat non ha potuto farne a meno. Oasi di beatitudine e abbandono. Esattamente come il vino, bandito dalle esistenze musulmane, ma non dalla lingua poetica persiana, che sul dolce nettare si pronuncia ampiamente. Ed è a questo punto che la storia di Ornellaia – azienda vinicola toscana d’eccellenza – e l’arte di Shirin Neshat si intrecciano. Per festeggiare l’XI edizione di “Vendemmia d’artista” – progetto curato da Bartolomeo Pietromarchi e nato per esaltare il carattere specifico delle annate vintage – il tempio del vino di Bolgheri ha invitato la Neshat ad esplorare “La Tensione” del 2016. Tensione che – come ci spiega il direttore del gruppo Ornellaia Axel Heinz – nasce da una magica combinazione tra freschezza e opulenza.
«Quando ho visitato la vigna di Ornellaia, mi sono sentita così malinconica e nostalgica, ricordando il frutteto di mio padre». A parlare è una donna minuta, empatica e dal forte carisma. «Ho capito che fare vino è come fare arte; riguarda la passione, l’ossessione, e nel caso di Ornellaia perfezione». Come è dunque riuscita Shirin Neshat ad incorporare un’idea così astratta come la tensione in una bottiglia di vino? Ispirata dal lavoro degli 11 artisti in precedenza coinvolti – tra cui William Kentridge, Rebecca Horn e Luigi Ontani – ma soprattutto dai versi del poeta mistico Omar Khayyām – il Dante persiano che sul vino, in termini allegorici, ha scritto enormemente – la Neshat ha rielaborato il nucleo più profondo del suo lavoro. A partire dalle celebri Women of Allah (1997) – armate, velate, silenti e tatuate. Il paradosso e i parallelismi uomo/donna, personale/sociale, bianco/nero e il corpo femminile – sensuale e insieme sottomesso – su cui si staglia la scrittura che è come una voce, spirituale e violenta. «La calligrafia è sacra, è emozione, sono le canzoni scritte da poeti fantastici mentre il corpo è la realtà». Così, sono nate una serie fotografica (concepita per l’Estate di Ornellaia) e un progetto di etichette in edizione limitata – su 111 bottiglie di grande formato (1 Salmanazar da 9 Litri, 100 Double Magnum da 3 Litri e 10 Imperials da 6 Litri) – numerate e firmate dall’artista. Il richiamo visivo e concettuale ai suoi media prediletti – il cinema e la performance – è tangibile.
Dallo statement di Khayyām “senza vino non posso esistere” – che sottende metaforicamente la necessità di un momento di beatitudine, di gioia, di fuga dalla banalità della vita quotidiana – la Neshat crea una preghiera in forma di scultura animata. Ricongiungendo la semplicità delle posture del corpo – che è sacro, come la poesia e il vino – con il gesto calligrafico. Attraverso una coreografia di mani che si aprono e si chiudono – rivelando o occultando un segreto universale – le parole, piano piano – sgretolandosi – scivolano via. In un processo di svuotamento estatico, quello che è lo scheletro – il corpo – si ricongiunge alla parte più profonda e nascosta delle emozioni. Secondo questa incantevole filosofia, 11 preziosi lotti di Ornellaia Vendemmia d’artista 2016 sono stati battuti in un’asta online da Sotheby’s e la cifra raccolta di 312mila dollari è stata interamente devoluta al programma Mind’s Eye della Fondazione Solomon R. Guggenheim. “L’occhio della mente” che permette alle persone non vedenti o ipovedenti di percepire e sperimentare l’arte. Se la poesia parla dell’ineffabile che è immaginazione, l’arte magico-realistica di Shirin Neshat è riuscita a dare voce e corpo al sacro che è nel vino.
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