Cosa succederebbe se il gigante Google –il motore di ricerca per eccellenza- cominciasse ad “autodistruggersi” in un impeto di autocannibalismo? E’ l’ipotesi immaginata dal progetto GWEI – Google Will Eat Itself, realizzato da Hans Bernhard (ubermorgen.com), Alessandro Ludovico (neural.it) e Paolo Cirio, già onorato di una menzione all’ultima edizione di Ars Electronica e presente tra le nomination del prossimo festival berlinese Transmediale.
Il progetto è semplice ma ingegnoso: acquistare azioni di Google servendosi di denaro ottenuto sfruttando il meccanismo del Google text advertisment. La principale fonte di reddito di Google è infatti il sistema Adsense, che funziona posizionando nelle pagine web annunci commerciali mirati sui contenuti specifici di ogni sito. Google paga ai webmaster una piccola percentuale per ogni click sugli annunci e viene a sua volta pagato dagli inserzionisti commerciali.
Il progetto GWEI si inserisce in questo meccanismo tentando di eroderlo dalle fondamenta: i promotori hanno creato un Account Adsense per il loro sito GWEI.org in modo tale che ogni volta che qualcuno clicca sui loro annunci, riceve un micropagamento da Google. Questi soldi vengono impiegati per acquistare azioni di Google stesso e ridistribuirle alla GTTP-community, formata dagli utenti e dai “clickers”, che mantengono il 97% della proprietà delle azioni (un 3% rimane al Franchise GWEI).
Ma come riuscire ad ottenere un numero di click sufficientemente alto? Uno: attraverso un software che genera un limitato numero di click al giorno, paragonabile a quello di un reale flusso di utenti, onde evitare di essere individuati. Due: attraverso la mobilitazione della GTTP community, informata del progetto tramite i network di riferimento dei due autori (i siti Ubermorgen e Neural). Ogni movimento azionario è documentato da fogli elettronici che riportano il numero preciso di click per ogni giorno e il conseguente guadagno riportato.
Anche se la quantità delle azioni acquistate è, per ora, limitata, l’intento resta quello di iniettare un virus sociale (“let’s share their shares”), un parassita che corroda dall’interno il meccanismo commerciale che si cela dietro l’interfaccia utile e amichevole che ormai monopolizza la ricerca di informazioni sulla rete. “Spalanchiamo alla gente la loro miniera d’oro, finché riusciamo a farlo!” è la frase che meglio rappresenta lo spirito del progetto.
Questa operazione culturale è stata resa fisicamente fruibile sotto forma di installazione sia alla Premises Gallery di Johannesburg che alla Neurotitan Gallery di Berlino e approderà in futuro anche al Sydney Museum of Contemporary Art, al New Museum of Contemporary Art di New York e al File Festival di San Paolo del Brasile.
link correlati
www.gwei.org
www.ubermorgen.com
www.neural.it
www.paolocirio.info
lucia mariani
[exibart]
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