Assolutamente noncuranti della forma, i cosiddetti “scattini” o fotografi di strada, erano interessati esclusivamente all’evento da catturare, all’avvenimento mondano-sensazionale da vendere ai rotocalchi scandalistici. Grazie all’uso “sfrontato” del flash, i paparazzi riuscirono ad assicurarsi un’immagine leggibile con ogni condizione di luce, anche in caso di totale oscurità, risolvendo spesso felicemente le loro incursioni nella vita, più o meno segreta, dei personaggi pubblici e dei vip.
Il chiaroscuro brutale, conseguente a questo modo di operare, congeniale tra l’altro alla pubblicazione cui erano destinate queste fotografie, non è dunque un fine ma solo un mezzo, il più efficace, per calarsi nella realtà, anche se una realtà particolare. E’ nella rapida gestualità che cancella la riflessione a vantaggio dell’“esserci” e nella violenza del lampo al magnesio che interagisce con l’ambiente riproducendolo in
Precursore del paparazzo italiano, anche se orientato più verso un sensazionalismo “nero” piuttosto che “rosa”. Questo fotogiornalista americano dal 1935 al 1952 documentò la vita moderna di New York, in maniera diretta e brutale, senza compiacimenti estetico-formali. Consapevole che la partecipazione all’evento fosse più inportante, al fine di riprodurlo efficacemente, di qualsiasi abbellimento “postumo”, chiese ed ottenne l’autorizzazione a sintonizzarsi sulla frequenza radio della polizia, riuscendo così a presenziare sul “luogo del delitto” quasi in tempo reale.
L’approccio irriverente ed esistenzialista del paparazzo di quegli anni si è in seguito molto stemperato o comunque è stato inglobato dallo star system o limitato dalle leggi sulla privacy. Avviene pertanto che le situazioni fotografate oggi siano per lo più posate o riprese col teleobbiettivo. L’operatore si allontana così dall’atto vivo a portata di flash e all’azione, al gesto informale, subentra di nuovo la vecchia, cara, composta, contemplazione.
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roberto maggiori
[exibart]
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