fotografia_fotofocus | Paparazzi

di - 5 Settembre 2003

Assolutamente noncuranti della forma, i cosiddetti “scattini” o fotografi di strada, erano interessati esclusivamente all’evento da catturare, all’avvenimento mondano-sensazionale da vendere ai rotocalchi scandalistici. Grazie all’uso “sfrontato” del flash, i paparazzi riuscirono ad assicurarsi un’immagine leggibile con ogni condizione di luce, anche in caso di totale oscurità, risolvendo spesso felicemente le loro incursioni nella vita, più o meno segreta, dei personaggi pubblici e dei vip.
Il chiaroscuro brutale, conseguente a questo modo di operare, congeniale tra l’altro alla pubblicazione cui erano destinate queste fotografie, non è dunque un fine ma solo un mezzo, il più efficace, per calarsi nella realtà, anche se una realtà particolare. E’ nella rapida gestualità che cancella la riflessione a vantaggio dell’“esserci” e nella violenza del lampo al magnesio che interagisce con l’ambiente riproducendolo in maniera “bruta”, dissolvendo la prospettiva a vantaggio dei bianchi abbacinanti del primo piano. In questo tipo d’approccio dunque si potrebbe ravvisare una sorta di Informale primordiale, analogo per certi versi alle “caricature” di Dubuffet e di Bacon, ma anche all’atteggiamento di cui sono frutto le opere mature di De Kooning e di Vedova. Quest’ipotesi potrebbe trovare riscontri, se non altro per la coincidenza delle date, nell’opera di Weegee (1899-1968).
Precursore del paparazzo italiano, anche se orientato più verso un sensazionalismo “nero” piuttosto che “rosa”. Questo fotogiornalista americano dal 1935 al 1952 documentò la vita moderna di New York, in maniera diretta e brutale, senza compiacimenti estetico-formali. Consapevole che la partecipazione all’evento fosse più inportante, al fine di riprodurlo efficacemente, di qualsiasi abbellimento “postumo”, chiese ed ottenne l’autorizzazione a sintonizzarsi sulla frequenza radio della polizia, riuscendo così a presenziare sul “luogo del delitto” quasi in tempo reale.
Certamente la stragrande maggioranza dei paparazzi non fu consapevole di quanto andava accadendo nelle arti visive “colte”, ma se, come è stato più volte dimostrato, struttura e sovrastruttura, tecnologia “bassa” e cultura “alta”, si influenzano reciprocamente, non può non ravvisarsi un nesso tra le poetiche mondane-informali e l’uso che di uno strumento tecnico, quale l’apparecchio fotografico provvisto di flash, è stato fatto in quegli stessi anni. Non è un caso allora che l’avventura dei paparazzi, tra i quali si annoverò anche Ugo Mulas all’inizio della sua carriera, raggiunse l’apogeo tra gli anni ’50 e ’60, gli stessi anni in cui si consumò la parabola informale in Italia. Successivamente lo stesso Tazio Secchiaroli (1925-1998), il “paparazzo originale” cui sembra essersi ispirato Federico Fellini per il personaggio della Dolce vita , dall’inizio degli anni Settanta preferì dedicarsi ad una più elegante fotografia di scena ritraendo divi quali Brigitte Bardot, Sofia Loren, Marcello Mastroianni, Ava Gadner e lo stesso Fellini; mentre Weegee, dal 1952, fotograferà personalità politic he e sociali col weegeescope, un caleidoscopio che fissato all’obbiettivo gli consentiva di deformare in grottesche caricature i soggetti che gli si paravano dinanzi.
L’approccio irriverente ed esistenzialista del paparazzo di quegli anni si è in seguito molto stemperato o comunque è stato inglobato dallo star system o limitato dalle leggi sulla privacy. Avviene pertanto che le situazioni fotografate oggi siano per lo più posate o riprese col teleobbiettivo. L’operatore si allontana così dall’atto vivo a portata di flash e all’azione, al gesto informale, subentra di nuovo la vecchia, cara, composta, contemplazione.

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roberto maggiori

[exibart]

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