fototalking | intervista a Giorgio Barrera

di - 6 Ottobre 2003

Come sei diventato fotografo?
Ho cominciato da autodidatta, e nel ‘94 mi sono iscritto al corso triennale dello Studio Marangoni. Poi sono stato assitente di Joel Meyerowitz in Italia, e qualche volta negli USA.

Nei tuoi progetti lo sguardo che rivolgi ai soggetti sembra voyeuristico e morboso. Lo sguardo con cui indaghi su fatti e comportamenti umani tanto intimi quanto minimi, quotidiani. In che misura la fotografia ha un rapporto diretto con il reale?
Ogni artista mette nella sua opera l’esperienza del reale. I miei lavori precedenti, hanno come tema di fondo l’induzione dell’immagine nella vita di tutti i giorni e la finestra concettualmente funge da cornice, è un’apertura che permette di essere osservati, studiati.

Lo spaccato di vita intima proposto nelle tue immagini è ricostruito ad hoc, come su un set cinematografico. Un modo di lavorare che richiama quello di Philip Lorca diCorcia. Quali fotografi ti hanno ispirato?
Come in diCorcia l’allestimento può risultare lungo e complesso, e lo scatto potrebbe sembrare secondario. Ma fino a un certo punto: scatti quando senti che è il momento in cui tutto sembra assomigliare a come l’avevi prefigurato. Per citare un fotografo, direi Friedlander. Però di più mi hanno ispirato filosofi come Gilles Deleuze e Guy Debord. E poi Vermeer, e i film di Fellini che sono documentari e visionari al tempo stesso.

Fotografi esclusivamente a colori. Perché?
Perché penso a colori. Nella fotografia l’uso del colore è importante come nella pittura.

Cosa pensi della differenza tra fotografo ed artista?
Non credo ci sia differenza tra fotografo e artista che usa la fotografia. Semmai la distinzione riguarda la personalità, e la profondità con cui vengono affrontati i temi che interessano all’uno o all’altro. Se un’immagine è sincera si avverte, si sente.

Tu sei un fotografo, o un artista che usa la fotografia?
Tutte e due le cose.

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