“Ápeiron” è il titolo della prima mostra personale della artista visiva greca Dimitra Dede, inaugurata lo scorso 28 ottobre presso la nuova Spot Home Gallery di Napoli. L’esposizione, nata da un’idea di Cristina Ferraiuolo, che ne ha curato la realizzazione insieme a Michael Ackerman, presenta 63 opere che riflettono la ricerca portata avanti dall’artista nel corso di questi anni. “Ápeiron”, dal greco antico “à”, assenza e “peras”, confine, inteso come il principio, infinito ed eterno, da dove tutte le cose hanno origine e ove si dissolvono, è un concetto intorno al quale ruota l’intera produzione artistica di Dimitra Dede.
L’esposizione riporta alcune immagini della sua prima monografia “Mayflies” (tra cui la serie “Dragon House”), testo che è stato selezionato nella shortlist del premio per il Miglior Libro d’Autore ai Rencontres d’Arles 2020 e del premio Unseen Dummy Award 2018 ad Amsterdam.
Come affermato dalla stessa artista, «“Mayflies” è un libro sulla maternità, l’effimero della vita e la complessità della perdita. Delinea un viaggio turbolento nei ricordi, nei sentimenti, nel dolore e nell’accettazione alla morte di mia madre. Attraverso molteplici mutazioni chirografiche dell’immaginario, l’esperienza della perdita in strati intrecciati è rappresentata in tutta l’opera. Il nome scientifico di Mayflies è Ephemerotteri e deriva dal greco “ephemera” che significa di breve durata e “ptera” che significa ali. Questo è un riferimento alla breve durata della vita delle effimere adulte. La maggior parte degli adulti sono insetti delicati con una durata di vita molto breve. Emergono, si riproducono e muoiono in un solo giorno».
La fotografia di Dimitra Dede intende configurarsi come specchio del proprio essere interiore costituito da felicità e tormenti, emozioni che si susseguono e si contrastano in quel processo naturale della vita condiviso da ognuno di noi. Tutto questo si traduce nella scelta di materiali e tecniche particolari che portano ad una trasformazione della materia attraverso la manipolazione delle immagini.
Per le sue opere sono due i supporti scelti: per alcune una spessa carta materica, di cotone, che restituisce l’opacità, il mistero e l’indefinito del suo lavoro; per altre una preziosa carta giapponese, la Taizan, sottile, leggermente trasparente ma eccezionalmente resistente. I negativi delle fotografie sono alterati con bruciature chimiche, cera, vernici, solarizzazione e altri espedienti che ci restituiscono quelle che potremmo definire “immagini contaminate” per la creazione di un mondo, di una realtà in cui appaiono visibili i segni della propria armonia interiore. Le fotografie di Dimitra Dede contengono pezzi del suo essere, impressi come impronte sui negativi con un processo violento e passionale che trasforma l’oggetto fotografico in un oggetto vulnerabile.
Della sua opera Christian Cajoulle dice: «Dimitra Dede appartiene senza dubbio a quei fotografi che utilizzano il mondo, sperimentandone la materialità, per produrre immagini che esprimano i loro sentimenti e che nascono da una profonda necessità. Nel suo caso, si tratta di un universo buio che la luce scolpisce fino al minimo dettaglio, catturando nel nero i grani d’argento, facendo vibrare i grigi profondi, accarezzando con dolcezza curve e linee. In questa fotografia, una mano, un corpo, un ghiacciaio, un sesso femminile, delle nuvole, un volto, un albero, un corpo o una roccia si equivalgono. Pretesti per formare immagini, per provocarle, per generarle. Dimitra Dede le tratta come materia prima che lei lavora, graffia, trasforma, muta e stravolge per raggiungere un mondo che esiste solo nell’immagine, un mondo fluttuante ancorato ad un reale già dissolto».
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