Gianni Berengo Gardin
Lucido osservatore e raffinato testimone della realtà, raccontata sempre con sguardo poetico nei suoi reportage di indagine sociale, Giovanni Berengo Gardin è morto oggi, nella sua Genova, all’età di 94 anni. Originario di Santa Margherita Ligure, avrebbe compiuto 95 anni il prossimo 10 ottobre. Sono più di 2 milioni i suoi negativi, centinaia le mostre personali in tutto il mondo e altrettanti i libri pubblicati. Tra i suoi riconoscimenti, il Lucie Award alla carriera nel 2008, l’Oskar Barnack Award, il Premio Bischof e la laurea honoris causa in Storia e critica dell’arte conferita dall’Università Statale di Milano nel 2009.
Gianni Berengo Gardin nacque a il 10 ottobre 1930, da padre veneziano e madre svizzera. Crebbe a Venezia, città che considerò da sempre la sua vera patria d’origine. Fu negli anni Cinquanta che iniziò a dedicarsi alla fotografia, trasformando una passione in una vocazione capace di attraversare i decenni e lasciare una traccia profonda nella cultura visiva italiana e internazionale.
Nel corso della sua lunga carriera, documentò con rigore e sensibilità l’evoluzione della società italiana del dopoguerra, affrontando temi cruciali come il lavoro, la marginalità, la vita quotidiana, l’architettura e il paesaggio. Le sue fotografie in bianco e nero, asciutte eppure liriche, restituirono un Paese in continuo mutamento, con uno sguardo attento e partecipe, mai compiaciuto. Venne spesso accostato a Henri Cartier-Bresson, per il senso della composizione e per l’approccio umanista che contraddistinse la sua opera.
La sua formazione ebbe una svolta nei primi anni Sessanta, quando un parente americano lo mise in contatto con Cornell Capa. Grazie ai libri ricevuti in dono e ai consigli del direttore della rivista Camera, Romeo Martinez, Berengo Gardin maturò la decisione di intraprendere la professione di fotografo. Fu l’inizio di un percorso che lo portò a collaborare con testate come Il Mondo, Domus, L’Espresso, Le Figaro, Time e Stern, consolidando una reputazione internazionale.
A partire dal 1962 lavorò come fotoreporter e autore di oltre 250 libri fotografici. Tra i più noti, Morire di classe (1969), realizzato insieme a Carla Cerati, che documentava le condizioni degli ospedali psichiatrici italiani e che contribuì in modo determinante alla riflessione che portò alla riforma Basaglia. Berengo Gardin fu anche l’autore di celebri reportage sull’Italia contadina, sul mondo operaio, sulla comunità rom, e su molte delle trasformazioni urbanistiche e sociali del Paese.
La sua amicizia con Carlo Scarpa lo portò a documentare opere fondamentali dell’architetto veneziano, mentre dal 1979 al 2012 fotografò i cantieri dei progetti di Renzo Piano, lasciando un archivio straordinario sul rapporto tra fotografia e architettura. In ambito culturale, immortalò anche volti e studi di artisti, scrittori e intellettuali italiani, da Giorgio Morandi a Mimmo Paladino, da Italo Calvino a Gae Aulenti.
Fu membro dell’agenzia Contrasto e del circolo fotografico “La Gondola” di Venezia. Le sue immagini furono esposte nei più importanti musei e istituzioni del mondo, tra cui il MoMA di New York, la Maison Européenne de la Photographie di Parigi, il Guggenheim Museum, la George Eastman House e il Museo dell’Elysée di Losanna. Nel 2016 il Palazzo delle Esposizioni di Roma gli dedicò una grande retrospettiva, Vera fotografia, con oltre 250 scatti.
Negli ultimi anni, ha continuato a interrogare la realtà con uno sguardo lucido e critico: nel 2014 e nel 2015, con il FAI, realizzò un lavoro di denuncia sul transito delle grandi navi a Venezia. Nel 2022 fu protagonista del film Nei giardini della mente, in cui tornò a riflettere sul potere civile e poetico della fotografia.
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