Erik Kessels, Jump Trump, 2017. Installation
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Erik Kessels.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Forse la rappresentazione di me stesso e della mia arte è quella di un narratore. Mi piace portare alla luce storie di persone sconosciute perdute e dimenticate. In questo momento, immagini, parole e suoni corrono così veloci che a volte è bello fermarsi e trovare il tempo per una storia sconosciuta. L’arte dovrebbe rappresentare e provocare una forte emozione e sentimento. Quando guardi l’arte la tua emozione dovrebbe essere estrema. Che questo sia estremamente divertente, triste, ironico, bello ecc. L’arte e ciò che fa un artista è il carburante per la vita quotidiana e il tuo spirito creativo».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Spero che le storie che racconto col mio lavoro lascino le loro impronte nelle persone che le vivono. È l’artista colui che raccoglie, modifica e si riappropria. Il risultato si presenta come un lavoro intensificato e compresso che viene mostrato in un nuovo contesto e, si spera, lascerà poi un segno nella gente».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Come artista, penso che sia molto importante condividere le proprie storie e la propria visione con gli altri. Inutile dire che oggi ci sono più opportunità per farlo, rispetto al passato. L’identità e la personalità sono un ingrediente molto importante nel raccontare la storia del proprio lavoro. Ovunque posso cerco di trasmettere la storia delle mie opere attraverso libri, conferenze e workshop. Ogni artista è l’autore del proprio lavoro ed è stupendo che l’artista stesso possa promuoverlo».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Lavoro nel campo della “riappropriazione” principalmente con materiali e opere già esistenti. Realizzo libri e mostre con fotografie ritrovate e immagini realizzate in prima battuta da altre persone. Questo atto è fortemente connesso al montaggio e al modo in cui mostro l’opera e racconto la storia nel suo nuovo contesto. Questo processo è spesso molto vulnerabile e intimo e come artista devo sostenere e proteggere questa intimità e vulnerabilità nel mio lavoro che direttamente o indirettamente è sempre un riflesso della mia personalità e quindi diventa la mia identità».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Quando possibile, cerco di creare questa connessione nel mio lavoro. Come artista, questo è in un certo senso il mio punto di partenza. Tutti i sentimenti forti, positivi o negativi, devono emergere in qualche modo nel mio processo creativo. Questa è la cosa bella e allo stesso tempo potente dell’arte, che qualunque persona sia in grado di farlo».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Forse, in quel caso, mi piacerebbe avere l’identità di un mago molto bravo. Trovo emozionante credere che qualcuno abbia poteri magici e sia in grado di far apparire e scomparire le cose a richiesta. Il cocktail di abilità, virtuosismo e menzogna è davvero esplosivo. Il fatto che il mago viva solo con i suoi segreti ha qualcosa di malinconico. Ma forse come artisti siamo tutti, in un certo senso, più o meno dei maghi!».
Erik Kessels è un artista, curatore e designer della comunicazione olandese, con grande interesse per l’arte e la fotografia. Dal 1996 è Creative Partner dell’agenzia di comunicazione KesselsKramer.
Come artista e curatore Kessels ha pubblicato oltre 100 libri delle sue immagini “riappropriate” e ha scritto il bestseller internazionale Failed It! e Amatore Completo. Ha insegnato in diverse Accademie d’Arte (Amsterdam, Milano, Toronto, Losanna, Düsseldorf).
Ha realizzato e curato mostre come Loving Your Pictures, Mother Nature, 24HRS in Photos, Album Beauty e Unfinished Father. Attualmente sta lavorando a un progetto artistico europeo a lungo termine chiamato Europe Archive.
Nel 2010 Kessels è stato premiato con l’Amsterdam Prize of the Arts, nel 2016 nominato per il Deutsche Börse Photography Prize. Fino al 2022 la sua retrospettiva di metà carriera è esposta a Torino, Düsseldorf e Budapest e recentemente ha esposto al SFMOMA. È stato definito “uno stregone visivo” dal Time Magazine e un “Antropologo moderno” da Voque (Italia).
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