Ogni artista ritratto sei volte. Lo stesso volto, la stessa persona vista, sentita e proposta in modi completamente differenti. In questo modo s’innesca un continuo gioco di specchi dove l’immagine riflessa si tramuta continuamente in qualcosa di inaspettato. Con le loro opere, infatti, i sei artisti non svelano l’identità di chi ritraggono. Nelle diverse interpretazioni del medesimo soggetto paiono addirittura scardinarne ogni elemento di definizione.
Nella serialità delle opere esposte da ogni artista – fotografiche, pittoriche o digitali che siano – ciò che più emerge è paradossalmente la personalità di chi ritrae piuttosto che quella di chi è ritratto.
È attraverso questa ripetuta visione degli altri che possiamo comprendere ogni autore, più che con le icone nelle quali si trova rappresentato. La sensazione è che l’intera operazione si sintetizzi, in definitiva, in sei organici autoritratti dove protagonista risulta essere la percezione dell’altro e, di riflesso, anche di se stesso.
Fondamentalmente esteta si rivela, nei suoi lavori, Aldo Ghirardello (Vicenza, 1963). Tele ovali che accompagnano la forma stessa dei volti, monocromatiche, basate su tinte arancioni, gialle, verdi. L’artista sceglie di velare i ritratti con una trama di delicati motivi decorativi. Un’operazione concettualmente simile, ma formalmente molto diversa, è anche quella proposta da Piermario Ciani (Bertiolo, 1951). L’artista focalizza tutta la sua attenzione sullo sguardo di chi ha di fronte, inserendolo in una sorta di mascherina rettangolare, chiusa dentro un labirinto grafico alfanumerico – quello del codice fiscale – che riduce l’identità a una cifra digitale.
Completamente diversi i ritratti di Emanulea Biancuzzi (Cividale, 1970). Disordinati e allo stesso tempo scientifici, colorati e divertenti, sono un vero e proprio collages di disegni, frasi e simboli assemblati dall’artista solo dopo una meticolosa indagine psicologica sui suoi personaggi.
Per il mezzo fotografico hanno optato, infine, Debora Vrizzi (Cividale, 1975) e Walter Criscuoli (Udine, 1958). Medesimo strumento ma risultati formalmente opposti. Alla nitidezza e al senso di confortante intimità presente nelle immagini della prima, infatti, si contrappongono le figure sfocate e mosse di Criscuoli che, ancora una volta, nega all’osservatore qualsiasi certezza.
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