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Poi, con le mie forze, sono diventato un pittore di pancia e di testa”. Con queste poche parole,
Živko Marušič (Colorno, Parma, 1945; vive a Capodistria) riassume il senso delle sue opere accolte nella retrospettiva triestina, uno scorcio trasversale della tormentata pittura dell’artista istriano dagli anni ‘80 a oggi – che Bonito Oliva aveva a suo tempo inserito tra i protagonisti nel volume sulla
Transavanguardia internazionale -, incluse alcune tele e carte realizzate appositamente per l’esposizione.
La mostra si focalizza sulla ricerca più intimistica e autobiografica della sua opera, dove la figura si perde in un magma compulsivo di pasta cromatica, dissolvendo la realtà fenomenica in una visione priva di qualsivoglia fondamento prospettico, ma al contrario centripeta, che tutto ingloba e fagocita. Il colore qui si lascia stendere molto grasso o, viceversa, estremamente sottile per rifrangere un cromatismo sfacciato e brillante, caratterizzato da una tavolozza frequentemente kitsch e rutilante.
La calzante chiave di lettura fornita dallo stesso Marušič, che definisce la sua pittura razionale e istintiva al contempo, permette così all’autore di declinare in modalità neoespressioniste una visione lucida e straniante della realtà. Una visionarietà aggressiva coniuga il convulso universo interiore dell’artista con la ricerca al dettaglio realistico.
Nelle grandi tele degli ultimi anni, tra cui
Visione di San Eustachio, l’artista fa così felicemente convivere le figure seriali e dal gusto decorativo – da miniatore intento a creare un pattern uniforme – con le brutali e contorte pennellate dalla forte emotività. L’effetto è quello di un sentimento di calma apparente, in cui però si percepisce una malinconia di fondo, abbozzata dagli inquietanti soggetti umani e resa evidente dalla schizofrenia della stesura pittorica.
Marušič assimila un tipo di deformazione del soggetto umano che ha le sue radici nell’opera di
Bacon, rivisitato sulla linea della Transavanguardia, ma non rinunciando mai a un tratto estremamente personale, energico e intimo. Nei due trittici del 2009, una sorta di fronte-retro dello stesso soggetto, le figure rappresentate sono sospese in un magma cromatico convulso, come se fossero esseri partoriti per attività onirica dell’autore, ma al tempo stesso spettri che saldamente occupano una porzione di realtà, in modo nitido e netto, e che potrebbero dar adito a una pittura quasi narrativa.