È difficile parlare di queste tele di Bartolomeo Migliore (Santena, Torino, 1960). La parola scritta è forse eccessivamente analitica e si dilunga per troppe strade inerpicate. I commenti possibili andrebbero fatti a voce e soprattutto con musica di fondo. Ma non si fraintenda, lungi da noi il lounge fighetto e ammiccante degli impomatati urbani. Nossignori, dimenticate tutto questo, questa è altra musica. Il suono sporco del rock: quello duro dei Ramones e dei Sonic Youth; quello del ronzio alle orecchie il giorno dopo, quello fatto di dissacrazione e violenza sonora. Quello dei watt che fanno confondere suono e rumore.
I lavori esposti sono tele lavorate con la matita e strati differenti di acrilico. Il colore è acido, talvolta con tinte metalliche, in contrasto con gli sfondi, sempre piatti e, citando il titolo comune a tutte le opere esposte, mono. Il formato delle opere è prevalentemente quadrato, scelta che tende a concentrare lo sguardo al centro della tela e a trasmettere così il senso del frastuono generato dalle scritte che si addensano e si muovono fuori asse.
L’uso del lettering è portato all’estremo, non per magniloquente pomposità, ma per asciuttezza e sintesi. Le parole, quelle classiche del linguaggio musicale rockettaro, sono fredde, pur interagendo tra di loro graficamente. Ma non significano null’altro che la suggestione che portano con sé, sono estrapolazioni dal linguaggio del sottosuolo musicale che vibra e dibatte. Sembrano scarificazioni sul tessuto sonoro che sta sotto la tela. E la (con)fusione dei segni e dei significati toglie lo spazio ad ogni possibile interpretazione.
È forse questo l’aspetto più difficile da cogliere. Non c’è alcuna volontà di interpretazione. Solo un meccanismo di riproposizione delle dinamiche per cui un suono può essere, sinesteticamente, ricreato per gli occhi. Acidamente, stagliando parole sulla tela come onde sonore nell’aria. Con una dinamica che può, alla lunga, diventare ripetitiva. Ecco quindi materializzarsi balance, sound, system, round, musicalmente connotative perché disarticolate, srotolate, girate e ricomposte in un nuovo ordine. Oppure, programmaticamente, in piena e perfetta anarchia.
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mostra visitata il 16 marzo 2005
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