Ogni pezzo d’arte è un marchingegno, tecnologicamente complesso ma non complicato, tale da rendere visibile all’osservatore la sua logica funzionale ed esplicitare palesemente il senso della logica artistica sottesa. Così, dopo il primo inevitabile spiazzamento, si è nella condizione di capire e ri-conoscere, cogliendo nell’oggetto d’arte la visualizzazione di fenomeni, meccanismi, sistemi. È questa la logica sottesa dalle macchine di Michele Bazzana, macchine cariche di tutti i rumori di ciò che quotidianamente esperiamo, ma che, una volta isolate e riadattate a funzioni improprie quanto improbabili, rivelano ben oltre alla luce, al rumore, al movimento. E finiscono per assumere connotati diversi, in un gioco che porta ad abbandonare presto le apparenze dell’origine.
Ogni invenzione affronta in modo ludico e cinico allo stesso tempo -ma sempre freddo, razionale, meccanico- i grandi argomenti. Come l’arte, l’amore o la libertà. E i titoli sono fulminanti nel condurre alla comprensione del tutto. Sia chiaro, nessun coinvolgimento fisico, nessun facile ammiccamento, per macchine che spingono piuttosto alla riflessione, ma che toccano inevitabilmente tasti non scevri di una certa poesia. Come per esempio Mamanonmama (2003), un’ampolla di vetro fissata al soffitto con un cavo elettrico che aziona all’interno un elemento ruotante su cui è collocata una gerbera che inevitabilmente col passare del tempo rinsecchisce, e per effetto della forza centrifuga, è destinata a perdere i petali. Simulando meccanicamente il gioco degli innamorati. Mamanonmama diviene così metafora dell’amore che gira e gira in modo autolesionista, finendo col distruggersi per effetto del suo stesso procedere. Della bella gerbera non restano che le bricioline secche e incolori che, perversamente mosse dal meccanismo, continuano in modo patetico a girare dentro l’ampolla.
Altra opera interessante è E luce fu 6 volt (2005), dove l’azionamento di un trapano induce l’accensione della lampadina tramite la dinamo che produce energia elettrica. Sin qui nulla da eccepire, se non fosse che per produrre 6 volt di luce l’apparecchio ne consuma 220. Una luce minima con gran dispendio energetico che porta a riflettere sui sistemi, come anche quello artistico, che prosciugano risorse enormi per un minimo di immagine. Per fortuna, però, qualche volta, il gioco vale la candela.
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