Categorie: Gallerie

Dal 20 giugno 2000 al 6 agosto 2000 | Arte spagnola anni ’50-’70 | Milano, Refettorio delle Stelline. Galleria del Credito Valtellinese

di - 31 Luglio 2000

Quando dal book-shop si entra nell’ambiente espositivo vero e proprio, ci si trova immersi in uno spazio assolutamente bianco, profondo e rettangolare. La prospettiva della sala è tale che le sue estremità non sono chiaramente visibili da un punto fisso. É necessario percorrerla interamente per capirne l’inizio e la fine. L’alto soffitto incontra le pareti in un’immagine di ampio respiro. Il tutto è assolutamente asettico.
Lo sguardo è portato, quasi per un effetto di contrasto, sui colori immediatamente intensi e drammatici delle opere – complessivamente trentacinque – di cui tre sculture: Martín Chirino, Vientos III (1964); Martín Chirino, Aerovoro (1972); Equipo Crónica, Menìna-Miró (1976).
E’ possibile ammirare la produzione di artisti dalle sensibilità e traiettorie profondamente diverse tra loro, uomini che – a partire dalla lacerante situazione di “esiliati perenni” – hanno lavorato e percorso strade parallele e dissimili, a favore della modernizzazione del proprio paese.

In una Spagna (quella del dopoguerra prima e del regime del generale Franco poi), dove il solo parlare dello sviluppo dell’arte contemporanea, il solo puntare sulla novità, in una parola il solo tentativo di incontrare la modernità, significava assumere – pur non allontanandosi dal proprio territorio – la condizione di esiliato.
Un’esilio culturale e umano che, spesso, ha significato il dovere iniziare e il ricominciare, quasi da principio. Mentre negli Stati Uniti e nell’Europa del secondo dopoguerra il movimento moderno era già stato consacrato come arte ufficiale, nella terra di Martin Chirino, Antoni Tàpies e Manuel Millares, si viveva in un clima di cambiamento ricco di manipolazioni, contraddizioni e, per così dire, situazioni particolari.
In questo contesto di “esilio-particolare”, chi si occupava d’arte doveva non solo rivendicare la modernità come valore, ma anche risolvere molte questioni relative alla propria identità culturale. Perciò, all’incrocio tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, l’artista spagnolo avverte la necessità di ritornare all’elemento autoctono, al proprio passato e, nello stesso tempo, si interroga sulla necessità di un suo radicale superamento. Le opere di artisti come Rafael Canogar, Lucio Muñoz, Gustavo Torner, Luis Feito, Josep Guinovart, Joan Hernández Pijuan o Albert Ràfols-Casamada si possono apprezzare proprio tenendo presente il contesto storico sociale e politico, in cui si collocano.
E’, quindi, da questa “condizione particolare” di “uomini in esilio” che ha inizio quella che si chiama la “differenza spagnola” (Eugenio Carmona): un periodo che copre gli anni compresi tra il ’50 e il ’70; un fermento artistico e culturale che, per esempio, nella pittura di Antonio Saura trova una delle sue massime espressioni.
All’interno di uno stesso spazio espositivo, si trovano dunque raccolte insieme opere di Rafael Canogar, Lucio Muñoz, Gustavo Torner, Luis Feito, Josep Guinovart, Joan Hernández Pijuan o Albert Ràfols-Casamada, artisti che manifestano differenti sensibiltà, anche con l’uso di una pluralità di tecniche e di materiali: il ferro battuto, l’olio su tela e su legno, la tecnica mista su tela di sacco e su legno, l’acrilico su tela, la tecnica mista e il collage su legno, il collage di carta vetrata, l’acrilico su masonite e l’acrilico su cartapesta.

E’ come se in alcuni autori spagnoli si vedessero le tracce di un percorso che dal surrealismo arriva fino ai confini della sensibilità pop, toccando i domini dell’arte della materia e in certi casi dell’arte povera.
Certe opere offrono a chi guarda la possibilità di un intenso dialogo, sia sul piano sensoriale che concettuale. In tal senso, soprattutto, i lavori di Canogar e di Feito rendono evidente la tendenza all’essenzialità.
Chi osserva può, inoltre, essere colpito dalla drammaticità di alcune composizioni, una drammaticità che mette in diretta relazione l’artista con il contesto socio-politico, in cui si trovava a vivere. D’altra parte, non è meno vero quanto afferma Juan Eduardo Cirlot quando parla di “buon gusto” e “di finezza”, a proposito dell’opera di un artista come Manuel Millares.

Tullio Pacifici



Fino al 6 agosto 2000. Arte spagnola anni ’50 – ‘70
Palazzo delle Stelline, Refettorio delle Stelline. Galleria del Credito Valtellinese, C.so Magenta 63 – tel. 02. 4800. 8015 – fax 4859. 1952.
Sito internet:http://www.creval.it
e-mail: creval@creval.it
Orario di apertura: dal lunedì al venerdì, ore 10 – 19.00; sabato, ore 9.00 – 13.00, chiuso domenica e festivi.
Ingresso libero.
Catalogo edito da Silvana Editoriale S.p.a., con testo critico a cura di Eugenio Carmona: in mostra £ 25.000, in libreria £ 30.000.
Note: mostra realizzata dalla Galleria del Gruppo Credito Valtellinese, in collaborazione con la Collezione di Arte Contemporanea della Fondazione “la Caixa” di Barcellona e con l’A.I.C.E.M. (Associazione degli Istituti Culturali Europei a Milano)



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