Alla Galleria Neon di Bologna fino al 27 maggio 2001 saranno presenti le suggestive installazioni di Luca Gemma (Mantova 1961) in una mostra curata da Roberto Daolio. Camera di rianimazione è un lavoro concepito come un percorso al buio, un labirinto dove le uniche indicazioni sono rappresentate dai suoni che il fruitore deve essere in grado di sentire per percepire il luogo in cui sui trova, basandosi esclusivamente sulla propria capacità di misurare con l’udito lo spazio circostante, per arrivare al centro della stanza, la meta, il luogo in cui ognuno può vivere in modo personale l’esperienza del relazionarsi con se stesso. L’artista ha programmato un percorso guidato da stimoli sonori che si attivano al passaggio, i rumori all’interno del labirinto diventano l’unico punto di riferimento reale e tangibile. L’oscurità diventa essenziale per azzerare la possibilità di orientamento, il rapporto con il buio diventa “fisico” e tutto il corpo registra la tensione provocata dalla mancanza di coordinate. Questa condizione di assenza riesce a potenziare altri sensi, in modo particolare il tatto e l’udito mentre la memoria interviene sotto forma di ricordo di esperienze passate e che si avvale della presenza delle procedure eterogenee e dei materiali utilizzati. All’interno di questa ‘architettura del buio’ si ascoltano i propri passi, il proprio respiro, i suoni del corpo e della sua presenza, unici segnali che possono guidare il tragitto “…il Minotauro all’interno del labirinto siamo noi…un corpo che segue un altro corpo…un rincorrere noi stessi…in definitiva è questo che faremo. trovandoci al buio soli saremo costretti a seguirci nel nostro esistere nello spazio”. L’artista ci obbliga ad una sorta di pratica psicologica di straniamento dal reale che può far emergere paure e sensazioni rimosse ma anche senso di pace, di rilassamento e di recupero della propria intima dimensione.
Il lavoro di Gemma negli anni è andato via via perfezionando quell’inclinazione alla ricerca della sorpresa, che lui stesso dichiara di provare di fronte alla perfezione casuale del mondo nel suo farsi, in un crescendo che trova il suo apice nell’esplorazione e nella trascrizione fantastica degli eventi e delle cose che lo circondano. Ma queste indagini non si sono rivolte agli oggetti veri e propri, bensì ricadono su quei fenomeni che si trovano a metà strada tra ciò che esiste in natura e l’idea che degli stessi fenomeni ognuno si è creato dentro di sé. I suoi lavori non vogliono mostrare cose o situazioni nuovi, ma farci vedere attraverso nuovi approcci le cose che ci circondano da sempre.
L’impianto e la struttura volutamente ‘teatrali’ dell’opera coinvolgono l’attore – spettatore ben oltre il limite di una volontà di rappresentazione. Infatti la scenografia del labirinto e i meccanismi inseriti al suo interno non sono i fini ma i mezzi, sono i tramiti per parlare a chi vi entra ad un livello di coinvolgimento e partecipazione. Non è fondamentale comprenderne visivamente la struttura dell’installazione l’importante e transitarvi all’interno per completare l’esperienza emotiva e sensoriale che ha voluto suggerire l’artista. Questa esperienza estetica sarà ogni volta diversa perché legata ai processi mentali ed emotivi messi in gioco da ognuno. Il fruitore diventa è il protagonista assoluto della performance.
In Appunti di lavoro. Estate 1998 troviamo un certo gusto per l’esercizio manuale, in cui la precisione, la pazienza nel disporre le squame di pesce essiccate e la dilatazione del gesto, da un punto di vista temporale, vengono sublimate nell’oggetto finale. I materiali sono stati manipolati e riproposti in una versione personalizzata, dove esperimenti azzardati e laboriosi arrivano a ricreare in laboratorio un simulacro di ciò che possiamo trovare solo in natura, così da stravolgere ogni logica e consuetudine di pensiero. L’opera è un congegno, una combinazione di tecniche e materiali in grado di provocare meraviglia, che ritrova la meccanicità attraverso il suono che produce. Appunti di lavoro è una macchina ambigua che attraverso i fogli di pvc cosparsi di squame ci rimanda ad una naturalità fittizia e allo stesso tempo reale, dove il rumore dell’acqua rievoca il vero scrosciare di un ruscello o lo sciabordio delle onde del mare che si infrangono sulla spiaggia.
Il catalogo contiene testi di Roberto Daolio e Silvia Grandi
Cinzia Simoni
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