Categorie: Gallerist

Gallerie ai tempi del distanziamento sociale: Raffaella Cortese

di - 9 Aprile 2020

In questi giorni di emergenza Covid-19 e di chiusure forzate, abbiamo deciso di dare voce alle gallerie più attive in Italia, per raccogliere il loro punto di vista sulla situazione attuale e sul futuro: l’ottavo appuntamento è con Raffaella Cortese.

Come avete riorganizzato il vostro lavoro?

«Stiamo al momento lavorando da casa, ma i limiti dello “smart working” sono evidenti. Lavorando in remoto e ricorrendo a un uso maggiore dei social media per la comunicazione, abbiamo ancor meglio realizzato quanto, al contrario, il rapporto diretto, fisico, emozionale, sia fondamentale in tutte le relazioni professionali. Lo “smart working” non potrà mai sostituirsi totalmente al lavoro in galleria, ma la situazione che stiamo vivendo richiede adeguamento perciò ci siamo attrezzati per lavorare efficacemente da casa e abbiamo potenziato la comunicazione, anche e soprattutto attraverso il nostro nuovo sito, cercando sempre di offrire dei contenuti selezionati, conformi alla nostra identità. Abbiamo inaugurato il 15 marzo un’espansione digitale degli spazi della galleria, la Viewing Room, una piattaforma di fruizione ed esplorazione che ha inizio con una rassegna video, Screening Rooms. Le Screening Rooms sono dedicate a una selezione curata di lavori video (a oggi: di Alejandro Cesarco, Simone Forti, Joan Jonas, Michael Fliri, Nazgol Ansarinia) e seguono le ricerche artistiche multimediali, da sempre un focus della galleria.

Vediamo che la comunicazione è l’ambito più vivace, di conseguenza l’ufficio stampa è attivo sia nel condividere i contenuti sia nel ricevere richieste di approfondimento. L’attenzione della stampa è apprezzata, soprattutto in un momento di riflessione sulla nostra storia che quest’anno è arrivata ai 25 anni. Sebbene molti appuntamenti importanti che dovevano caratterizzare un anno speciale siano stati rimandati (probabilmente alla stagione autunnale), possiamo oggi più che mai concentrarci e riflettere sulla narrazione di questi anni.

Ripensare e riorganizzare il nostro lavoro è una priorità che non riguarda solo questi giorni, ma anche e soprattutto il momento in cui si ritornerà in galleria, quando prevedo che l’attività si riavvii gradualmente. Dovremo quindi capire meglio quali saranno i segmenti che si risveglieranno prima degli altri e ci adatteremo alle situazioni cercando di riprendere a pieno ritmo il prima possibile. Fare delle previsioni oggi è veramente molto azzardato, le informazioni e gli aggiornamenti arrivano e cambiano quotidianamente, perciò solo di settimana in settimana riusciremo ad avere idee meno nebulose sul futuro».

Quali misure metterete in atto per attutire le difficoltà previste per il 2020?

«Abbiamo in previsione una mostra importante per sottolineare il nostro anniversario – dedicata a Franco Vimercati, l’artista con cui ho inaugurato la prima mostra nel 1995 – e stiamo ancora riflettendo su quale possa essere la data di inaugurazione. Dobbiamo considerare che i luoghi aperti al pubblico dovranno adottare delle precauzioni e che i modi delle interazioni e degli scambi sociali non torneranno immediatamente alla normalità.

Le misure ovviamente riguarderanno il ricorrere ai sostegni che il governo mette a disposizione per quanto riguarda il personale, a cui si vuole offrire la migliore stabilità possibile nonostante l’evidente calo della mole di lavoro.

Credo che misure cautelative dovrebbero prontamente essere adottate dalle fiere d’arte. La stagione fieristica, in parte compromessa, andrebbe rivista. Le fiere sono luoghi di aggregazione per eccellenza e il loro successo dipende dai visitatori e dai collezionisti provenienti da varie parti del mondo. Se alcune cancellazioni sono risultate inevitabili, è opportuno pensare a slittamenti di date evitando di creare sovrapposizioni o ravvicinamenti. Certamente risentiremo del cambiamento di calendario delle fiere, fonte importante di scambio, ma immaginare una fiera a breve, con trasporti e voli parzialmente bloccati, sembra incauto».

Qual è il più grande ostacolo che sarete costretti a superare nei mesi a venire?

«Tutti noi siamo stati molto colpiti da questa tragedia e un po’ tutti gli ambiti soffriranno, dalle gallerie alle fiere, dai musei ai collezionisti. Il desiderio oltre che il potere d’acquisto di quest’ultimi potrebbe cambiare, ma non possiamo prevederlo e ci auguriamo invece che siano più che mai desiderosi di avvicinarsi all’arte, dando segnali e contributi importanti per tutti noi. Penso a quanto duramente siano stati colpiti anche agli artisti, perché di fatto tutto si è fermato, non solo il mercato ma anche le mostre che avevamo in programma e per le quali abbiamo lavorato per molto tempo. Quando penso all’ostacolo, penso dunque alla difficoltà di una ripresa, ai ritmi che forse non dovrebbero ritornare così concitati e iper stressanti come nel passato recente, essendo le gallerie imprese culturali. Trovare un giusto bilanciamento tra l’attività commerciale e quella culturale è sempre stato un mio obbiettivo. In questi giorni di maggior concentrazione e tempo a disposizione, prevale il secondo aspetto che è un motore importante e lo sarà, spero anche per il futuro».

Quale credete sia la debolezza più evidente che il sistema dell’arte ha mostrato in queste settimane?

«La globalizzazione: nel momento in cui si chiudono le possibilità di spostarsi, il sistema dell’arte che oramai è diventato globale entra in crisi. L’apertura delle frontiere è fondamentale, per esempio per le fiere – che attirano un pubblico internazionale – ma anche per l’attività delle gallerie che, come la nostra, lavorano con artisti e collezionisti internazionali. Purtroppo la globalizzazione ha diffuso il contagio su scala mondiale.

Ho già accennato all’uso massiccio dei mezzi di comunicazione virtuali che diventa presto abuso: il carattere democratico del web fa sì che siamo costretti a vedere e leggere un’enorme quantità di immagini e informazioni prima di identificare un contenuto significativo; mancano decisamente dei filtri per selezionare.

Ribadisco infine il limite delle interazioni virtuali, per due principali motivi. Innanzitutto, le nuove tecnologie sono seguite dalle nuove generazioni, mentre le generazioni precedenti vanno raggiunte in un modo più tradizionale: è fondamentale imparare a utilizzare tutta la gamma dei media che abbiamo a disposizione, scegliendo il mezzo a seconda del destinatario che vogliamo raggiungere. In secondo luogo, gli scambi virtuali mancano del lato più emozionale e sono inevitabilmente meno efficaci: penso ai frequentatori della nostra Viewing Room con cui non abbiamo un rapporto diretto e di cui conosciamo solo un indirizzo e-mail. Proprio quest’anno abbiamo presentato la nuova immagine coordinata, un’identità visiva che introduce un payoff, “still a place”, uno statement con cui intendiamo sottolineare l’importanza della nostra galleria come luogo imprescindibile di sperimentazione dell’arte e spazio da vivere e frequentare. Il sito e, nello specifico, la Viewing Room sono mezzi potenti e oggi senz’altro necessari perché l’arte arrivi al pubblico, ma non possono sostituirsi allo spazio fisico della galleria, devono coesistere e arricchirlo.

Nel tempo del digitale e del virtuale, l’uomo viene colpito nella sua essenza fisica da un ignoto e micidiale virus e il corpo e l’essere umano ritornano al centro del mondo. E così penso al lavoro di Kiki Smith, di Miroslaw Balka e di alcune straordinarie nostre artiste legate alla performance come Joan Jonas e Simone Forti».

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