Eleonora Chiesa è nata a Genova nel 1979: si è concessa a malapena il tempo per diplomarsi in elettronica e già nel 2000, orgogliosamente autodidatta, l’abbiamo notata nelle prime collettive in sedi interessanti, tra le quali Fitzcarraldo e Satura; poi, nella primavera 2002 la personale “Dadaunderground” da Ellequadro, con testi critici di Tiziana Conti e Giorgio Bonomi, ed altre collettive prestigiose come Riparte a Roma e “Il peso del virtuale” da En Plein Air a Pinerolo. Insomma, un inizio esplosivo per un’artista promettente, che con la mostra in corso conferma una ricerca in decisa crescita.
Se nelle prime occasioni espositive non sembrava facilissimo identificare uno stile omogeneo in una produzione comunque già di buon livello, oggi Chiesa presenta i risultati di un lavoro durissimo di ricerca e sintesi, che concentra la sua attività nel video, nelle installazioni e nelle performance e individua nello stretto rapporto emotivo con l’attualità sociale il proprio leitmotiv.
L’Artsaloon di Albissola Marina, un piccolo spazio che dedica particolare attenzione all’arte sperimentale proponendo spesso mostre coraggiose e curate con rigore da Livia Savorelli, sembra trovare una particolare affinità con il lavoro dell’artista genovese: in quest’occasione, Eleonora Chiesa presenta due installazioni e la performance “Istruzioni per l’uso ”, realizzata la sera dell’inaugurazione.
La passione per l’arte e quella politica sembrano per Eleonora Chiesa un corpo unico, entrambe genuine e viscerali, caratterizzate da una curiosa antinomia, il convivere inedito di una lucidità feroce e di una freschezza disarmante e disarmata, come se l’artista fosse insieme giovanissima e vecchissima.
I lavori sono filtrati da un lirismo ingenuo che non ne attutisce la durezza ma la sublima, sono denunce brutali che trascendono la cronaca per diventare nella poesia messaggi universali e senza tempo, gli occhi sgranati senza malizia su un quotidiano inaccettabile di Alice che va alla guerra.
“Anime” è un bellissimo esempio di questo approccio: è un’installazione in progress, la registrazione puntuale – e volutamente ossessiva – dei pasti del figlio. Un diario-scultura che giorno dopo giorno racconta l’accumulo dei barattoli di vetro degli omogeneizzati e così congela il tempo, ne fa materia per i posteri e ne allontana il portato emotivo, come a bloccare in una sorta di musealizzazione coatta dei sentimenti la consapevolezza della non eternità.
Anche “Phoung “, l’altra installazione, si ispira all’infanzia: la fotografia di una bambina vietnamita nata malformata perché la madre ha subito l’esposizione
La performance “Istruzioni per l’uso”, invece, ha per Eleonora Chiesa lo scopo di “spingere le persone a osservare la contemporaneità da punti di vista alternativi, forse… meno qualunquisti e più soggettivi. Sondare le loro reazioni a input visivi multimediali per sollecitare analisi alternative di ciò ci circonda ”: l’artista, imprigionata in una vasca-bara di alluminio, interpreta con drammatica efficacia l’impotenza del singolo di fronte all’ingiustizia e al dolore.
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