La Venezia di
Lorenzo Mattotti (Brescia, 1954; vive a Parigi) è un intricato groviglio di linee, tra onde e riflessi della luce sull’acqua, ombre di ringhiere e file di mattoni a vista. Ritornato in laguna dopo avervi studiato, il disegnatore lombardo ha voluto spogliare Venezia della sua meraviglia, della maestosa forza con cui le sue architetture sorprendono il visitatore. Ha preferito addentrarsi più a fondo nella città, alla ricerca di quei segni che ne potessero rendere accessibile la struttura interna.
Il risultato è un linguaggio scarno, fatto di un ponti, strettoie e aperture, e dell’onnipresenza dell’acqua e della sua corrente. È soprattutto quell’intrico di linee a costituire il viatico principale di questo alfabeto. Un segno inquieto, che contagia con la vertigine di un labirinto, lasciando la suggestione di
Morte a Venezia, pur restando lontano dal decadentismo di
Luchino Visconti. E la sorpresa è stata riconoscere proprio qui l’origine del proprio stile, tra questi scenari fatti di strade storte e prospettive allungate.
La mostra alla Fondazione Bevilacqua La Masa si apre con una stanza dedicata ai disegni di una foresta. Difficile pensare a un soggetto più lontano dal tradizionale immaginario legato alla città lagunare. Eppure sono proprio questi disegni a fornire la chiave d’accesso a quelli che seguono, sia per il disegnatore che per lo spettatore, illustrando lo stesso principio di solidità fluida e dinamica, anche se in negativo.
Queste foreste d’ombra, “
scavate nella luce”, sono un intreccio di curve rapide e in movimento, che costruiscono sentieri per interromperli all’improvviso. Come avviene per lo spazio di Venezia, scavato nell’acqua, “
costruito e distrutto continuamente da muri, scale o acqua, linee rette e superfici piatte che improvvisamente si curvano o si spezzano in ringhiere o riflessi”, come afferma l’artista.
Sono questi i segni che la costituiscono, e i disegni di Mattotti ne ricavano un’atmosfera insidiosa, che – soprattutto in quelli in bianco e nero – trasforma la città in un thriller dal ritmo incalzante, che a ogni curva, dopo ogni strettoia e apertura, lascia con il fiato sospeso.
Ecco perché può avvenire senza forzature il passaggio dagli scorci veneziani ai disegni più piccoli, che raffigurano un paesaggio onirico, abitato da misteriosi personaggi, mostri e legionari, sembrando anzi quasi una logica conseguenza di quell’intreccio di linee e ombre, del loro fascino ipnotico e febbrile. E anche quando sono i colori degli inchiostri Ecoline a prendere il sopravvento, la città si compone di prospettive appiattite e fughe vertiginose, accentuate dalle tinte improbabili in viola, verde o arancione.
Soltanto nelle ultime sale la mostra concede una pausa allo spettatore, lì dove l’acqua sembra fermarsi e il ritmo rallenta in sincrono con l’interminabile passaggio di pescherecci e mercantili. Come se l’unico porto sicuro fosse al largo, lontano da questa città irrequieta, in uno
spleen struggente e inesorabile.