Categorie: lavagna

CONTROPELO

di - 28 Settembre 2018
Quando Autoritratto stava per essere pubblicato, nel 1969, la proposta di Carla Lonzi di usare, come immagine di copertina del suo libro, una fotografia di Teresa di Lisieux vestita da Giovanna d’Arco per una recita al Carmelo apparve all’editore incongruente, “una goffaggine tipicamente femminile”, e fu scartata per un meno inaspettato Taglio di Lucio Fontana. È la stessa Lonzi a raccontare questo episodio, in È già politica, ammettendo di essere stata allora “presa dal vomito per la delusione e l’impotenza”.
Il fatto che Lonzi avesse scelto proprio l’immagine di questa santa per un lavoro in cui la voce dell’autrice tendeva progressivamente a rarefarsi fino a scomparire, è molto significativo. Sottintende una volontaria identificazione con Thérèse Martin, forse trascurata da chi oggi si accosta alla straordinaria intellettuale fiorentina da una prospettiva che non accolga l’originalità del suo pensiero.
“Mi sono sempre piaciuti i libri autobiografici di sante. […] Li ho avuti presente soprattutto nei momenti di crisi, quando dovevo ammettere un’illusione e trovare la pace interiore da cui ripartire. A Storia di un’anima di Teresa Martin, cioè Santa Teresa del Bambino Gesù, sono tornata più volte insieme al Libro della sua vita di Teresa d’Avila. Entrambi scritti su richiesta e per obbedienza, sono in prima persona e esprimono fenomeni e stati interiori per me naturali e che non ritrovavo altrove. […] Sebbene due personalità molto diverse, non vedevo limiti alle loro capacità di indagare e di dubitare: le risorse erano cercate dentro di sé pur nella coscienza che non esistono risorse adeguate. […] Mi piacevano perché erano impegnate in un’avventura invisibile e non sindacabile, astratta come l’amore, concreta come la sofferenza. Non vedevo come se ne potesse fare a meno. Non ho trovato ostacoli verso di loro, anche l’aspetto edificante risulta secondario: mi illuminano sull’identità, mi precedono su questa strada e, sebbene sembra che rinuncino a tutto, mi è chiaro che non hanno rinunciato all’essenziale. Anzi, mi hanno rivelato qual è questo essenziale”.
30 luglio 2018 – Roma, chiesa di santa Bibiana
Le agiografie raccontano di giovani donne che, disobbedendo al potere, intraprendono un’avventura altrettanto invisibile e insindacabile, astratta e concreta. Le sante martiri Lucia, Agnese, Agata, Bibiana sono αὐτόνομοι: come Antigone, individuano da sé la propria legge.
Di solito, in questi racconti, la minaccia alla loro vita e alla loro libertà di pensiero è preceduta dalla profferta “romantica” da parte del prepotente di turno che, frustrato, ricorre poi a diverse forme di violenza tra cui il discredito o l’umiliazione sul piano sessuale (l’esposizione in un postribolo, la nudità). Dunque, fuor di metafora, il tentativo di squalificare e distruggere l’integrità intellettuale e morale della donna nel modo più ignobile, come accade ancora oggi.
La risposta di queste martiri consiste nel sottrarsi al sistema di valori all’interno del quale ciò avrebbe senso. Dunque non nell’azione, ma nella resistenza.
Al punto che una di loro, legata da strette corde e tirata da dieci buoi, si fa pesante come la roccia e resta immobile dove si trova: l’immagine della sua inamovibilità.
Ora, in questa piccola chiesa incastonata nella stazione Termini (una gemma secentesca con pochi eguali in città per efficacia dimostrativa e bellezza), il racconto della vicenda di Bibiana è serrato e di un’attualità impressionante. In una scena della navata centrale dipinta da Agostino Ciampelli, il corpo morto dell’adolescente che giace a terra è una citazione letterale -sebbene, per quanto mi consta, inspiegabile allo stato attuale degli studi sul pittore- della Lucia del periodo siciliano di Caravaggio. Dialoga direttamente con la statua della santa scolpita da Gian Lorenzo Bernini appositamente per questo dramma.
5 maggio 2018 – Roma, chiesa di santa Bibiana
Se un’opera d’arte viene estratta dal contesto per il quale è stata concepita -un contesto accresciuto nel tempo e nel quale sono penetrate esperienze, percetti, sensi, estetiche; forte e significativo come quello di quest’angolo di Roma, a pochi metri da senzatetto, immigrati, viaggiatori, oranti, anime sole- per essere esibita nelle sale di un museo a disposizione di un colto pubblico pagante, di tutto questo e del suo sempre rinnovato messaggio che cosa resta? Solo un capolavoro in marmo di finissima fattura.
Mariasole Garacci

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