A poche ore da quello che si paventa come un vero e proprio sgombero del Teatro Valle Occupato, che speriamo almeno non sia violento come quello avvenuto nei giorni scorsi al Cinema Volturno, questa probabile fine dellâesperienza della Fondazione Teatro Valle Bene Comune assume un valore decisivo, persino simbolico, per tutti noi.
I fatti sono ormai stranoti, tanto quelli dei tre anni di occupazione che quelli di questi giorni, e non starò qui a ripeterli. Ribadisco solo che per oggi è stato emesso un invito che assomiglia moltissimo ad un ultimatum, e che impone âla consegna del Teatro Valle alla Soprintendenza per i lavori entro la data del 31 luglio 2014.â.
Ho visto nascere lâoccupazione del Valle. In quegli stessi giorni del 2011 lâarte contemporanea romana dava vita al movimento Occupiamoci di Contemporaneo, da cui sarebbe nata la Consulta per lâArte Contemporanea di Roma. Sono stato al Valle in quei giorni, e con me tantissimi del mondo dellâarte, e ci siamo tornati per vedere spettacoli, concerti e performance. Lâarte stessa è stata piĂš volte ospitata dagli occupanti. Conosco bene alcuni di loro e ho imparato in questi anni il rispetto per chi mette in gioco tutto per difendere le proprio idee, forti della convinzione che esiste unâalternativa nella gestione della cultura a Roma e in Italia. Molti di loro oggi sono ancora e molto motivati, ma anche stanchi. E come potrebbe essere altrimenti?
Cosâaltro potevano fare, oltre quello che hanno fatto, per dimostrare che lâillegalitĂ era stata superata da un processo di legalizzazione condiviso da giuristi, economisti, intellettuali, artisti, persone sinceramente interessate alla cultura, e persino alcuni politici?
Cosâaltro potevano fare, oltre quello che hanno fatto, per dimostrare che lâoccupazione si è da subito trasformata nel ben diverso prendersi cura di un luogo e di unâidea di cultura, che è senza alcuna retorica un ideale, ma evidentemente non unâutopia?
Cosâaltro potevano fare, oltre quello che hanno fatto, tanto da vedere riconosciuto il loro impegno e la qualitĂ della loro proposta finanche fuori dai confini nazionali?
Se la loro colpa è stata quella di non pagare bollette e diritti dâautore, mi domando se in questo computo da ragioniere che la Corte dei Conti si è presa la briga di fare, e che con buona probabilità è allâorigine della decisione di emettere lâultimatum, è compreso il lavoro che moltissimi hanno prestato per tentare di cambiare le modalitĂ , ormai chiaramente insufficienti, con le quali oggi in Italia si gestiscono le istituzioni culturali. Tutti loro non hanno diritto ad un compenso?  PerchĂŠ non chiedere alla collettivitĂ se il lavoro di questi anni non sia in grado di compensare quei costi? PerchĂŠ non chiedere alla Siae se quanto fatto non corrisponda ad una difesa di principio, e con analogo valore economico, del lavoro degli autori e degli artisti?
Quello che però mi preme davvero dire è che se la conclusione di questo percorso sarĂ quella di uno sgombero coatto, allora avremo perso tutti. Ma prima di ognuno di noi, avrĂ perso la politica, colpevole di non avere la capacitĂ , e forse anche la volontĂ , di immaginarsi come interlocutore di un cambiamento che parte dal basso, che fornisce nuove soluzioni alle criticitĂ in atto nel sistema culturale, e che pone persino le premesse per uno sviluppo economico e produttivo per nulla scontato. Da questa colpa gravissima, la peggiore possibile per la politica, non sarĂ possibile emendarsi in alcun modo, perchĂŠ oltre a dimostrare lâincapacitĂ di ascolto e di dialogo, da cui trarre indicazioni per decidere, essa mostrerĂ impietosa la mancanza di una visione di unâItalia sul serio diversa e migliore.
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Dove potrò fare le sue cose ora Marinella Senatore, e la povera Noumas Foundation? E Ascanio Celestini quando esce dalla televisione dove andrà a finire?
Si spegne una voce indipendente...