Probabilmente il nome di Adolf Wolfli non dirà niente a molti lettori del libro Mercanti d’aura. Eppure sarebbe potuto diventare noto come Andy Warhol. Infatti, mentre era internato in un ospedale psichiatrico, nel 1929 Wolfli realizzò un’opera raffigurante la zuppa Campbell, che col senno di poi potrebbe essere definita pop. Cos’ha impedito il riconoscimento di un’intuizione così precoce? Secondo gli autori, le convenzioni che regolano il mondo dell’arte, oggetto di questo stimolante e già dibattuto saggio. Convenzioni che, ad esempio, escludono i disturbati mentali dal novero degli artisti con la A maiuscola.
Lo scopo che si prefiggono i due autori, un sociologo e un’artista, è indagare la specificità dell’arte contemporanea, rivolgendo l’attenzione alla natura socialmente costruita delle norme che la regolano. L’approccio è prevalentemente empirico, come proprio della sociologia, e numerosi sono i casi discussi. Ad esempio, molte delle opere e degli artisti che hanno segnato il Novecento devono la loro fama anche a espedienti “costruiti in laboratorio”. È il caso dell’orinatoio di Duchamp. Gli autori sospettano che il famoso rifiuto a esporre l’opera fosse in realtà stato cercato, se non programmato, dallo stesso artista per sottolineare l’aura del neonato ready-made.
Altre conclusioni degli autori sono più azzardate, come il tentativo di dare dignità artistica ai falsi, sul presupposto dell’indistinguibilità dall’originale, oppure la volontà di estendere lo statuto di “fine arts” alle arti minori e addirittura all’arte culinaria. In ogni caso, è divertente immergersi nelle storie dei falsari più abili e di artisti immaginari, come Nat Tate -creato dalla fantasia di William Boyd e David Bowie-, così come seguire le gesta di scimmie e asini, le cui opere sono battute alle aste con quotazioni da grandi maestri.
Fra i maggiori creatori di norme nel campo dell’arte sono individuati i critici, che non solo con le loro definizioni e giudizi influenzano l’andamento delle carriere e la storia dell’arte, ma che acquisiscono un ambiguo status di creatori d’arte.
In ogni caso, la caratteristica che maggiormente legittima il funzionamento delle convenzioni è la natura mercantile del mondo dell’arte, non additata dagli autori come fenomeno negativo di per sé, ma analizzato come caratteristica inevitabile, dati gli sviluppi della ricerca dalle Avanguardie storiche in poi. Anche in questo saggio, come spesso accade, la figura che spicca come miglior interprete del nostro tempo è Warhol, che “rappresentava ciò che l’arte è nel nostro mondo”.
La conclusione del libro è che l’aura, lungi dall’essersi dissolta come previsto da Benjamin, è oggi viva più che mai. Anzi, la mercantilizzazione dell’arte e le famigerate “convinzioni comuni” fanno sì che, in luogo delle opere, oggi resista solo l’aura, il mito di cui arbitrariamente vengono circondati l’opera o l’artista. Una conclusione decisamente stimolante e, per una volta, non retrograda.
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