14-20 giugno 1989. Nel cuore della Pisa storica prende corpo Tuttomondo. Un incontro casuale a New York ha portato Keith Haring in Italia, e una straordinaria convergenza di disponibilità ha reso possibile la realizzazione di una grande pittura murale sulla parete posteriore della chiesa di Sant’Antonio. 180 metri quadrati in un “posto perfetto”, (parole dell’artista), perché di fronte a due stazioni, degli autobus e del treno. In questo modo centinaia di persone ogni giorno lo avrebbero visto. E, si sa, per Haring, graffitaro per vocazione, l’arte è un dono, fruibile liberamente, non mercificabile.
Sua ultima opera pubblica, e la prima concepita come permanente, è da molti considerata un capolavoro dell’ambiente underground ma
Il libro delle edizioni pisane ETS, rievoca lo spirito di quei giorni in un testo veramente bello in cui parole ed immagini hanno pari spazio e dignità di testimonianza. Omar Calabrese ricostruisce l’ambiente culturale da cui muove l’artista americano, il significato della sua arte, le sue radici, il suo percorso. Roberta Cecchi rivive i momenti della realizzazione del murales, della capacità di Haring di catalizzare attorno a sé l’entusiasmo collettivo della città, soprattutto di ballerini e dj, che contribuirono a fare di quel “cantiere” una grande performance. Piergiorgio Castellani, il gancio tra Haring e Pisa, si affaccia dal suo ricordo commosso sul mondo interiore
Il libro è uscito in un momento significativo di riscoperta del murales e del suo significato per la città. L’opera, fino a poco tempo fa parzialmente coperta da una stazione di autobus, torna ad avere il risalto che meritava, e una mostra recente ha celebrato quest’evento con la proiezione di un video e l’esposizione di foto.
Con Keith Haring Pisa si interroga sul significato della sua vocazione di centro culturale. Se l’arte è espressione della creatività umana, non è rimanendo arroccati nella sterile conservazione del passato, ma aprendosi al divenire e al cambiamento che ci si fa interpreti dell’esigenza sempre attuale dell’uomo di comunicazione.
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paola vitolo
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