Categorie: Libri ed editoria

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di - 12 Gennaio 2016
Il gatto-robot Doraemon, uscito dalla fantasia di Fujiko F. Fujio nel lontano 1969, protagonista dell’omonimo fumetto e serie animata, fu nominato nel 2008 primo “Ambasciatore Culturale degli “anime” (neologismo che indica i cartoni e i film d’animazione”) da parte del Ministero degli Affari Esteri giapponese. È come se, in Italia, questo importante ruolo fosse stato conferito a Lupo Alberto di Silver o a Rat-Man di Leo Ortolani. Fatto sta che dietro questa apparente stravaganza del governo nipponico, si muove una lucida ed attenta strategia di marketing e di politica culturale. Il Giappone non perde occasione per mostrarsi agli occhi del mondo come un Paese che fa “sistema”. L’attuale “J-culture”, quel “cool Japan” del Sol Levante globalizzato, di cui il nostro simpatico gatto fa parte, checché se ne pensi, fuoriesce da quel lento processo che la patria di Hokusai ha dovuto faticosamente, e obbligatoriamente, avviare a partire dal dopo tragico epilogo della seconda guerra mondiale.
Nulla di strano, dunque, che l’Ambasciatore Doraemon abbia aperto ufficialmente  la seconda edizione del convegno “Wabi Sabi Cyber: culture e subculture del Giappone contemporaneo”, tenutasi nel 2008 presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, promossa dal Dipartimento degli Studi Asiatici dello stesso ateneo e da Nipponica. Questo, ed altro, emerge dall’interessante raccolta di tredici saggi curata da Matteo Casari, docente di Teatri Orientali presso l’Università di Bologna: Culture del Giappone contemporaneo (Edizioni Tunué).

Si inizia col chiarire i concetti di wabi e sabi, tema di fondo di tutti i saggi raccolti. Interessante l’analisi condotta da Sagiyama Ikuko sul “wabi”: quel sentirsi soli e abbandonati a se stessi, magistralmente espressi dal poeta Ariwara no Yukihira (818-893), e di “sabi”, inteso come calo di vitalità, perdita di vigore o stato di declino e devastazione. Stili di vite di poeti orientate al romitaggio, sostenute dagli insegnamenti del buddismo zen. Si passa poi all’analisi del mondo dei manga, anime, videogiochi, arti visive, cinema, letteratura, teatro e architettura, raccontate da autorevoli ricercatori che passano al pettine fine le implicazioni che hanno portato queste discipline a misurarsi con la “pressione” della cultura occidentale.
I vari contributi critici coordinati da Casari, mettono ben in luce il fatto che il Giappone ha dovuto fare i conti da un lato con l’esterno, con il portato delle grandi tecnologie americane, con l'”altra cultura” e cioè con le differenti modalità espressive del cinema, della letteratura e delle arti provenienti dall’Occidente; dall’altro lato i conti li ha dovuti fare con la sua stessa tradizione, il cui concetto – come sottolinea bene lo stesso Casari, citando un prezioso saggio di Elémire Zolla – va inteso come qualcosa che «non è immutabile, poiché il museo non è il suo habitat naturale, ma si relaziona a tutto ciò che le ruota attorno scegliendo il grado di permeabilità».

Ora, nel bene o nel male, come si sa, questa impresa nella terra del Sol Levante si è compiuta, benché sulla sua piena riuscita si levino voci dubbiose, come quella di Öe Kenzaburoö (Nobel per la letteratura 1994) denuncianti un carattere ambiguo o ambivalente dell’attuale popolar culture, rea di aver vissuta male e con una fretta eccessiva la modernità occidentalizzante. Alcuni “manga”, ad esempio, si  ispirano ad uno dei testi sacri della letteratura nipponica qual è il Genji Monogatari del 1008 circa, che porta la firma di Murasaki Shikibu, la poetessa che servì la corte imperiale in epoca Heian.
Disegnatori come Yamato Waki, Maki Miyako ed Egawa Tatsuya sono alcuni dei più noti attuali interpreti manga del Genji, ognuno con la propria inconfondibile cifra stilistica. Se passiamo poi agli ideatori che hanno dato vita all’epopea dei Robot, come Nagai Gö (Mazinga, Goldrake, Atlas Ufo Robot) o Anno Hideaki (Neon Genesis Evangelion) ci accorgiamo che i samurai ritornano in scena, trasformati dal mondo ipertecnologico in macchine da guerra. La bushidö, la via del guerriero, è “incarnata” dai nuovi eroi meccanici, autocoscienti e in possesso di sentimenti, o cyber, o addirittura provenienti da altri pianeti, come nel caso degli Evangelion. Sono eroi che nella loro dimensione estetica, come sostiene Marcello Ghilardi, pur non evidenziando più tracce del wabi o sabi, esprimono istanti di silenzio e di contemplazione, di cura per la fugacità della vita: «Anche qualora l’esistenza sia intrecciata a una dimensione ipertecnologica, e i confini dell’umano si dilatino  e si sfumino di fronte al post-umano  – o al disumano – si rivela la qualità di un sentimento che in giapponese si può qualificare come mono no aware». E qui s’intende quella fusione di bellezza e tristezza alla vista di un fiore di ciliegio che sfiorisce e che ricorda il carattere impermanente di ogni fenomeno. E quest’ultimo non è forse uno dei principi costitutivi della antica cerimonia del tè, tesa a quell’armonia che si può raggiungere comprendendo il valore del mutamento costante, dell’effimero, dell’impermanente come Realtà ultima?

Dunque i robot, e non solo. In Giappone da tempo è nata la scienza dei mostri (yökaigatu): mostri, che nel libro vengono analizzati splendidamente da Toshio Miyake e che appaiono sempre più come metafore di una società in trasformazione, in cerca di una sua identità per la quale il temine Cyborgian Society casca a pennello. Se, poi, si sposta lo sguardo sulla pittura, come fa Fabriano Fabbri, con gli esiti della Neo-Pop, si osserverà la stessa cosa. Il “Monster Manifesto” di Murakami Takashi, e il suo progetto Superflat, si presentò come una risposta “orgogliosa” per scrollarsi di dosso il “peso” dell’Occidente o quanto meno, dimostrare di affrontare i problemi della post modernità in maniera autonoma ed originale. Cosa che autori dell’ultima generazione stanno portando avanti con il cosiddetto Biopop, alla cui origine troviamo Kusama Yayoi per poi seguire con Mori Mariko, Nawa Kohei, Paramodel (Hayashi Yasuhiko e Nakano Yusuke), Odani Motohiko, Kito Kengo.                    
Ernesto Jannini
Titolo: Culture del Giappone contemporaneo. Manga, anime, videogiochi, arti visive, cinema, letteratura, teatro, architettura
a cura di Matteo Casari
anno d pubblicazione: 2015
Edizioni: TUNUE’
Euro  16,50

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