Matteo Marangoni (1876 – 1958), coltissimo musicologo, filosofo e storico dell’arte, ebbe vari incarichi tra i quali Direttore di Brera e direttore della Soprintendenza di Firenze nei primi anni del ‘900. In questo testo del 1933 traccia le linee guida per “saper vedere” l’arte in genere, con il proposito di educare al gusto per godere di una pittura, di una scultura, di un’architettura, secondo una disamina dei tratti stilistici, evidenziando pregi e manchevolezze.
In questo richiamandosi a modalità di minuziosa analisi per tratti dettagliati, secondo classificazioni che riconducono all’efficacia artistica nel suscitare il “senso del bello” nel riguardante. Saper vedere, non guardare, quindi riconoscere stilemi e conduzione dei dipinti e delle sculture, ponendoli in risalto al fine di giudicare e godere dell’opera, arrivando al sentimento (tecnicamente) evocato, rifuggendo dall’aborrito sentimentalismo.
E proprio nell’introduzione si richiama a Wolfflin dicendo che “il vedere è cosa da essere appresa”. Con una verve aristocraticamente polemica si scaglia verso preconcetti quali “verisimiglianza”, “deformazione”, “soggetto”, “progresso dell’arte”. Nelle numerose analisi di opere famose riportate, Marangoni pone le basi di un attento studio dei meccanismi percettivi del riguardante, guidandoli in base alle tecniche degli artisti, distinguendo rispetto all’influenza della loro cultura e di quella del pubblico nella successione storica di mode e pensiero. Ovvero secondo la “pura visibilità”, attraverso l’immediata percezione dei valori formali, dove l’invenzione e la coerenza stilistica sono lo strumento cardine di giudizio e la meta da perseguire per la bellezza, e l’arte è tale quando è immediato linguaggio. Sebbene alcune definizioni appaiano talvolta tautologiche e apodittiche, le descrizioni delle opere risultano sempre convincenti ed esemplari nel dimostrare dove sia “la virtù estetica” e dove non vi sia o goda di fama immotivata.
Troviamo quindi sapide critiche alla “ovvietà” di molti veristi o di sculture antiche apprezzate dall’ambito (cit. il viso di Laocoonte, fissamente virile, o quelle ricostruite dei pezzi mancanti) o l’elogio per l’invenzione stilistica dell’Assunta dei Frari (un Padreterno obliquo a sancire il movimento di Maria) o della Madonna di Piero della Francesca a Brera (dove uovo, viso, architettura hanno la stesso stile a favore della luce). Un testo elegante, divertente e fondamentale nel suo essere “datato”, come leggere il Pellegrino Artusi, per imparare a cucinare.
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