Un percorso artistico complesso e multiforme quello di Lorenzo Viani (Viareggio 1882 – Roma 1936), pittore, scrittore, xilografo e giornalista, fondamentale esponente dell’Espressionismo in Italia. La mostra allestita presso la Mole Vanvitelliana di Ancona nel settantesimo anniversario dalla morte dell’artista viareggino, tenta di ricostruirne la parabola creativa.
Accanto alle opere ad olio, circa sessanta, apre l’esposizione una piccola ma interessante sezione dedicata ai testi letterari di Viani e al suo lavoro di xilografo, definendo subito il carattere innovatore del suo linguaggio. In alcune illustrazioni la contrapposizione tra gli spazi bianchi del foglio e l’intensità del nero più cupo, accende di toni drammatici le scene rappresentate. Solo nei paesaggi, in cui emerge inevitabile la tradizione pittorica toscana dei macchiaioli e le figure dei buoi tanto amate dal suo maestro Giovanni Fattori, Viani sembra allentare momentaneamente la tensione violenta del proprio linguaggio. Ma subito il suo segno ritorna cupo, i toni scuri, povera la gamma cromatica e scarno il colore, così asciutto da apparire quasi polveroso sulla tela. Sono questi i mezzi tecnici che predilige per dar vita ad opere che si inseriscono perfettamente nell’Espressionismo tedesco della Die Brücke e del Blaue Reiter. Grida di partecipazione commossa alla realtà, così come lo era stato
Miserabili, diseredati, prostitute. Questi sono i soggetti prediletti, soprattutto nel periodo parigino: protagonisti desolati, figure allampanate di una magrezza estrema che sembra aver scavato nella carne oltre che nelle anime rassegnate.
Viani affronta poi il tema della guerra, e negli anni successivi torna a rappresentare marine e scene di vita quotidiana. Tuttavia i ritratti rimangono forse le opere più magnetiche e affascinanti della mostra, che nel complesso non sembra riuscire a tenere il passo con il viscerale e impetuoso espressionismo dell’artista. Nella Moglie di marinaio (1912-15) le ombre del volto imbellettato si fondono con il nero quasi assoluto che è sul punto di inghiottire l’immagine, se non fosse per brevi e accese macchie fauve di giallo intenso. Mentre ne Le vedove del mare (1915-16), l’inconsolabile rassegnazione viene fissata questa volta non attraverso i volti, ma con una sintetica definizione delle figure. Drappi neri sulla spiaggia come echi lontani ma potenti del dramma disperato della vita.
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