Un’esposizione panoramica che bene propone un viaggio nella storia del lavoro di Alberto Biasi; viaggio a ritroso che non poteva trascurare l’esordio, le sue Trame complesse del 1959-65, dov’egli, osservando i giacigli dei bachi da seta, andava sovrapponendo graticci poveri, di materiali e forme semplici. Tutto questo nell’ottica più ampia delle riflessioni collettive di quegli anni, portate avanti con il Gruppo N e attraverso le esposizioni presso la Galleria Azimuth, riguardanti le ricchezze degli spostamenti semantici suggeriti da elementari dinamiche formali. Chi ha vissuto o studiato quel periodo sa quanto coraggio e forza utopica ci fosse in quegli artisti e quanto questi volessero rompere con il mercato e con la conseguente incoronazione del singolo -la contemporanea e mitica esaltazione dell’io- per credere nel gruppo, fino a scomparirvi.
Su Biasi, e questa antologica lo suggerisce, bisogna aggiungere che ha saputo rinnovarsi (a differenza di altri compagni di viaggio della Op Art e dell’Arte Cinetica) in quanto si è dimostrato autenticamente artista, perché, da solista, ha saputo reinventarsi, ha saputo proseguire la sua riflessione riuscendo a mantenere di buon livello la sua produzione. Infatti, i suoi Politipi, come pure i poetici Assemblaggi, le sue ipnotiche Torsioni, oltre che le sue proiezioni di Luci recenti, attraggono nelle titolazioni seducenti, coinvolgono nella spazialità ricreata, vertiginosa, per apparire infine come un tuffo intellettuale ed emotivo stimolante negli enigmatici silenzi del monocromatico.
Un percorso artistico che diverte, che mai scade nel freddo cerebralismo o nel tecnicismo fine a se stesso; un’arte, quella del padovano, che pre-disponendo (programmando) si dispone all’apertura, all’imprevedibilità del caso, alla fuga dalla volontà dello stesso autore e dunque al creativo confronto, perché, com’egli stesso afferma, il fruitore immagina ciò che manca: il movimento innanzi tutto (..) ma poi riempie e svuota l’opera di altre presenze, come se egli si trasformasse in esecutore d’immagini e la mia opera diventasse semplice strumento.
Ma nel padovano tutto diviene arte, stupore, meraviglia. Anche l’apparentemente statico, il rapporto matematico, il progetto-macchina iniziale. In lui ogni solidità e purezza formale sfuma in instabilità irrequiete, ritmi, apparizioni infinite, fantasmatiche, ch’egli evoca per rivolgerle all’impossibile, eppure così poetica, ricerca della misurabilità (e conoscibilità) dell’incommensurabile.
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Bravo Biasi. A mio avviso il più interessante artista italiano di arte programmata e cinetica.