C’è qualcosa di emblematico nel titolo della mostra,
Pesaro città sospesa, a evocare suggestivi
territori al di là dello spazio e del tempo. Sono immagini di monumenti di ieri
e di oggi, simboli della bella città marchigiana. Sono realtà
pensate, “sentite”,
vissute interiormente ancor prima
di essere immortalate:
“
Fotografate nella luce, che mi aiuta a ritrarre il monumento così
come l’ho sentito”, dice
Irene Kung (Berna, 1958; vive a Roma)
nell’intervista rilasciata a Ludovico Pratesi.
Sono interpretazioni che nascono in un’atmosfera irreale,
rigorosamente in un bianco e nero dai toni sfumati, per ritrarre una forma
carica di “sentimento”; sono monumenti collocati in una pregnante dimensione
metafisica.
L’artista romana d’adozione, graphic designer e pittrice,
oggi si dedica alla fotografia come nuovo linguaggio espressivo. Colpisce la
cifra intellettuale che sta alla base del processo creativo di questa raffinata
interprete, ed empaticamente ci si sente trascinati e si entra a far parte
dell’atmosfera in cui le opere vivono.
Il
Villino Ruggeri, impareggiabile esempio di stile Liberty, sembra
nascere come Venere da un letto di vegetazione dalle piccole foglie:
scompare
il tetto, il cancello della villa, la luce avvolge il cuore della preziosa
facciata, tutt’intorno è nulla e quiete.
Il
Palazzo Ducale, col suo quattrocentesco frontale, ritratto in
doppia versione con luce diversa, si staglia rigoroso sullo sfondo di un cielo
che pare fumo e cenere. Del selciato si possono contare i dettagli, i
sanpietrini in porfido, essendo eliminato ogni elemento che non sia puro:
nessuna presenza umana, nessun segno di vita. Tutto è immobile. Nemmeno la
bandiera, nella prima delle due foto, rimanda all’idea del movimento. La vita è
dentro quel silenzio che avvolge, nell’attesa che tutto improvvisamente si
muova per incantesimo, come i giocattoli nella favola del soldatino di stagno.
La
Pescheria,
l’antico mercato
con l’ex Chiesa del
Suffragio, sembra il progetto di una città pensata per Marte. Ma si
ritrovano le possenti colonne e le due vasche-abbeveratoio del remoto tempio
commerciale. E ancora, le due interpretazioni del
Teatro Rossini,
inaugurato nel 1637, poi
riedificato e inaugurato da
Gioacchino Rossini nel 1818.
Nella prima opera, la luce illumina la parte
più alta della facciata del
teatro, la fontana zampilla, i piccioni sono sul cornicione. Ma nuovamente
l’atmosfera è irreale, onirica, metaforicamente sospesa. Nella seconda
fotografia, tutto sembra ancora irreale ma le finestre sono illuminate e fanno
pensare, seppur erroneamente, alla “
casa romita” dei versi pascoliani.
La
Sfera Grande di
Arnaldo Pomodoro, infine, l’opera con cui si identifica la città di
Pesaro dal 2000, appare sospesa sull’acqua, dove si riflette. Un’acqua scura
che sembra cielo, e l’atmosfera rimanda a quell’universo dove esistono altri
mondi generati da quell’unico grande globo ferito.