Un’equivoca living room, che fa del mistero e
dell’inquietudine le sue peculiarità, apre il percorso espositivo della
personale di
Massimo Festi (Ferrara, 1972), intitolata
La scimmia pensa, la
scimmia fa.
Volti di donne celati da maschere, nei quali la sensualità
e l’erotismo, grazie all’impedimento del travestimento, si amplificano
imponendosi allo sguardo dello spettatore, fin quasi al disagio e all’imbarazzo.
La maschera risulta essere, immediatamente, il filo conduttore di una poetica
che indaga l’ambiguità e la duplicità dell’essere e del desiderio: maschere
anti-gas, da personaggio dei fumetti, semplici mascherine attorno agli occhi,
rappresentate sempre in chiave feticista, da gioco perverso dei ruoli.
Quelle di Festi sono opere fotografiche rielaborate
digitalmente, al fine di aggiungere i particolari necessari a cancellare
l’identità abituale e a esibirne una alternativa e anomala. Le quinte, alle
spalle dei personaggi ritratti, sono decori di carta da parati che, con
semplicità e immediatezza, inquadrano ambienti borghesi dal sapore vintage;
luoghi emblematici dello sdoppiamento psichico, del mascheramento usato per assumere
nuove personalità.
Come un’eco, la particolarità degli spazi espositivi,
stanze di un appartamento quotidianamente abitato, amplificano la sensazione di
club privé, di ambiente ove la deviazione dalla normalità trova sfogo.
La seconda stanza è, infatti, una vera e propria sala
d’aspetto, dove su una poltrona è adagiato il calco in vetroresina di un busto
umano, anch’esso con indosso una maschera nera sul viso. È un uomo
impossibilitato a muoversi perché privo delle gambe, con lo sguardo rivolto in
basso, nella rassegnata ed eterna attesa di entrare nella stanza successiva:
una camera da letto illuminata da un lightbox a parete, che incornicia l’immagine
provocante di una pornostar, raffigurata con ali da angelo, aureola, nastro
adesivo a forma di croce sui seni e l’immancabile maschera. L’opera, dal titolo
Angel, è un
lavoro inedito dell’artista, facente parte del progetto
Porn Saints di Francesco D’Isa.
Qui gli opposti si condensano, perturbando le emozioni. Il
sacro e il profano, oltre a collidere, si tramutano in accessori da indossare
allo scopo di superare le dicotomie della morale, fino a sentirsi “
sacra e
immorale allo stesso tempo”, come scrive la curatrice Susanna Ferretti, citando un passo del
racconto
Invisible Monster di Chuck Palahniuk.
Il richiamo allo scrittore americano è, infatti, il catalizzatore
di tutto il percorso espositivo, dal titolo della mostra al soggetto del video
Ninna
nanna,
realizzato per l’occasione
, nel quale, al ritmo di una dolce
musica, una donna, inevitabilmente mascherata, si aggira in modo circospetto e
inquieto nei meandri di un palazzo, armata e con un neonato in braccio.
La donna è pronta a difendere il bambino a ogni costo, ma
il nemico si rivela impalpabile e inarginabile. È infatti la medesima melodia a
palesarsi quale micidiale aggressore.