La Rocca Roveresca, luogo pieno di storia, diventa il punto di partenza di un percorso che si snoda tra luoghi pubblici e privati alla scoperta della poetica dell’artista senigalliese Patrizia Molinari. Una ricerca complessa che parte dalla natura e mira alla rappresentazione della meraviglia dell’universo. Una spiritualità intensa, una meditazione filtrata dalla cosmogonia orientale che esprime attraverso l’atto artistico le infinite relazioni che sottendono il nostro mondo. Un’urgenza creativa che viene imposta alla materia attraverso l’installazione e la pittura.
L’artista assembla elementi minimimi, presi dal mondo che ci circonda, attraverso una grammatica creativa che sembra avvicinarsi più al mito che alla mera rappresentazione: dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande tutto viene costretto nel misurabile, tutto si razionalizza prendendo le dimensioni degli uomini. Lasciandosi intravedere, cogliere, percepire.
Una rappresentazione della nascita e della vita in cui i simboli si sovrappongono. Le acque, limpide e di un blu intenso diventano forme fetali nella serie di carte Origini, il plancton nelle fluorescenze dell’installazione Noctilucae fugge dall’ambiente marino che gli è proprio, e sembra brulicare alla ricerca di uno spazio per affermare la propria presenza. Così la luce prende corpo e forma nelle trasparenze dei Sassi Segreti, mentre la terra impastata fino a diventare colore esprime la propria essenza sulla carta giapponese.
Persino le stelle sembrano cadere dal cielo per mettersi in mostra: ecco Arturo la stella più luminosa del firmamento che diventa scultura e si lascia ammirare come opera pubblica.
Allo stesso modo cinque pietre di tufo con fibre ottiche disposte su di un letto di terra secondo l’ordine della costellazione Cassiopea riportano un pezzo di cielo sulla terra. Una ricerca sulla luce che si accompagna alla musica di Roberto Mazzanti, che rallentando il suono cerca di cambiarne la percezione. “Solamente rallentando il tempo all’esasperazione, si potrebbe vivere l’esperienza della luce come se fosse un’onda”, afferma. A questo punto, il cerchio si chiude e tutto si spiega, anche la dedica in catalogo: “A mia sorella che amava il mare, a mio padre che guardava le stelle”.
stefano verri
mostra visitata il 25 maggio 2006
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