Allestire una mostra è alla fine costruire una casa, accogliere ed ascoltare offrendo a sua volta materiale di ascolto, un luogo per condividere, un’architettura per una condizione sociale utopica nella quale trovare la dimensione giusta per vivere, anche per l’artista… In queste parole –che concludono ill testo critico di Antonella Micaletti curatrice della mostra- sta tutto il senso dell’istallazione dell’artista milanese Silvia Fiorentino e della rassegna Continente Donna alla quale è stata invitata ad intervenire.
L’istallazione è infatti il punto di arrivo di un percorso che attraversa la città di Falconara e coinvolge le donne che vivono qui, ritratte, intervistate dall’artista fino a divenire materia stessa della mostra. Non si tratta però di un lavoro di reportage, ma di una proposta di impatto esplicitamente emotivo, in cui il visitatore è coinvolto in un’opera multisensoriale, dove fotografie, sculture, suoni e luci restituiscono l’emozione di un viaggio tra reale e immaginario, vissuto, in primis, dall’artista e ricostruito attraverso un progetto insieme architettonico e poetico.
Frasi, sogni, paure, desideri, rimpianti veri: le voci delle donne –alternati a brani di canzoni- invitano ad entrare in un’architettura, uno spazio abitabile che, per convenzione, rimanda al mondo femminile: due grandi gonne sospese nello spazio accolgono lo spettatore dentro differenti situazioni emotive, perché è quello sotto la gonna il punto di vista e udito giusto per ascoltare i colori e i suoni attraverso cui l’artista ha scelto di parlare.
Sul pavimento altri indumenti femminili, con precisione scarpe di ogni genere e stile e biglietti depositari di altre parole, frammenti, confidenze.
Poesia, memoria, architettura tutti elementi che fanno della ricerca di Silvia Fiorentino un lavoro fortemente femminile, caratterizzato da un processo creativo in cui l’io e il tu si scambiano continuamente i ruoli e nel gioco della narrazione quasi tutti i trucchi sono svelati perchè il narratore raramente riesce a parlare in terza persona. Tuttavia -forse molto più che in tante altre artiste italiane dell’ultima generazione legate al racconto minimo del quotidiano- in Silvia Fiorentino il processo vede accentuata la fase centrale, quella catartica. Così l’artista assorbe e divora come una spugna tutto ciò che proviene dall’esterno –suoni, parole, immagini– mescolandole ad un flusso interiore dall’andamento sempre molto turbolento.
Importante anche l’uso catalizzante del colore: le grandi gonne che costituiscono l’installazione sono realizzate stampando sui tessuti i volti delle donne incontrate, che si accalcano nelle superfici che risultano esplosive nei loro colori acidi ed intensi. Il colore interviene anche sulle gonne, in forma di luce, a caratterizzare, a seconda della scelta, i due poli di una condizione caratterizzata dalla complessità. Uno sta ad indicare l’interno l’altro esterno, l’intimo oppure l’oggettivo, il senso comune o la realtà segreta. Il tutto rielaborato in chiave architettonica, per trasformare la mostra in un luogo privilegiato, lo spazio del possibile equilibrio tra stati diversi. La mostra diventa così la casa, un’architettura a propria misura, ma aperta alla condivisione
annalisa trasatti
mostra vistata il 25.VI.2004
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