Ritratto di Martha Jungwirth. Photo © Shawn Dell
Nel fermento della Modern & Contemporary Art Evening & Day Sale del 26 giugno, da Phillips, un nome inaspettato è emerso sulla lussuosa passerella londinese: Martha Jungwirth. Il suo grande cartoncino Ohne Titel (1987) è stato aggiudicato per un valore di oltre sei volte superiore alla stima iniziale: partita da £ 50.000, l’opera è volata a £ 317.500, circa il 600% del valore pronosticato dagli esperti di Phillips.
Austriaca, classe 1940, Jungwirth ha costruito nel tempo un linguaggio pittorico in cui il gesto si fa racconto emotivo. La sua è una pittura fisica, immediata, dove l’astrazione si impasta con la carne del colore e i confini del figurativo appaiono e svaniscono; la materia si stratifica su cartone, carta grezza o supporti poveri, eppure vibra di una tensione che è tutta interna.
Oggi Jungwirth è rappresentata dalla galleria Thaddaeus Ropac, che ne sostiene la presenza sulla scena internazionale. Ultimamente, il suo lavoro ha trovato spazio nelle più importanti istituzioni europee, come la Fondazione Giorgio Cini che, durante la scorsa Biennale di Venezia, le ha dedicato una rassegna ispirata da Herz der Finsternis (in italiano Cuore di Tenebra), celebre romanzo di Joseph Conrad. Le opere esposte restituivano una pittura immersiva, a tratti ancestrale, dove il colore diventa racconto e il gesto si trasforma in forma vitale.
La mostra ha avuto grande successo e quasi contemporaneamente il Guggenheim di Bilbao ha ospitato una retrospettiva completa, costruita attraverso settanta opere tra dipinti, acquerelli e taccuini, sull’opera dell’artista austriaca (qui la nostra intervista aLekha Hileman Waitoller, curatrice della mostra). Un viaggio che non segue una cronologia lineare, ma si muove lungo affinità interiori, restituendo una visione profonda e coerente di una ricerca che ha saputo evolvere restando fedele a sé stessa. Una pittura che non illustra, ma incide, evoca. Un gesto libero, finalmente riconosciuto come tale.
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