Una sfida artistica che vuole confermare ciò che sinora è stato creato, intuirne i possibili, originali sviluppi, stupire con coraggiose scelte innovative.
Una sfida accettata in pieno da Wainer Vaccari, consapevolmente attento a non cadere in facili ripetizioni o in pericolose contraddizioni che possono cancellare, con un sol colpo di pennello, anni di confermata ricerca espressiva.
Una ricerca che, sinora, affidava i suoi messaggi ad una “cartografia immaginaria” tessuta da calme distese di colore, che dall’Espressionismo nordico, dall’esperienza
Paradisi onirici ricchi di sensibilità, delicatezza e purezza, il cui virtuosismo lasciava trapelare la trama indistinta ma precisa di forme e colori, complici silenziosi di piccole ritualità che, nel loro mistero più arcano, sapevano comporre una favola pittorica.
Ma ora, novello Ulisse di inesplorati orizzonti artistici, Vaccari avverte che tutto questo non è più sufficiente, che il giocoso piacere della creazione non doveva esaurirsi in se stesso, ma essere, al contrario, anticipatore di nuove, coerenti necessità simbolico-espressive.
Egli vuole concedere delle alternative a se stesso; e questo “Altro” lo trova in quella territorialità che, per canonizzata definizione, esula dal campo propriamente pittorico, e sconfina nella letteratura cyberpunk, nella musica rock, nelle arti marziali, ora più che mai rituali massificati della trasgressione contemporanea.
Su questi palcoscenici, perfettamente anonimi nel loro grigio uniformante, si muovono fredde creature, la cui nuda meccanicità è piegata dalla mano dell’artista al linguaggio malleabile della pittura.
Come nel cinema della post-organicità le macchine si scambiavano di ruolo con i resti umani, in una lotta senza fine e senza ragione, così, nelle opere di Vaccari, diviene protagonista il valore eversivo e anarcoide dello scontro, primitivo nel suo violento piacere di dolore, assolutamente libero nella sua mancanza di confini linguistici.
In questa fredda cromia che non concede ritagli alla pura narratività o al mero dettaglio, i suoi segni netti, precisi e forti restituiscono a questi crani rasati, a questi corpi contratti in lotte aliene ed alienanti, un’energia improvvisa ed imprevedibile, parte integrante di un vocabolario artistico che trova le sue regole grammaticali all’interno dell’odierno disordine creativo.
Un disordine superato da una capacità di concentrazione
Così, tra vero e falso, tra finzione e realtà, tra informale e figurativo, questi corpi ibridi e contradditori abitano gli spazi più remoti della comune visione tradizionale, diventando testimoni frammentari di quella forza eversiva che, da sempre, anima dinamicamente l’evoluzione dell’arte.
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Elena Granuzzo
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