Il concetto che anima la nuova mostra di Alessandro Bellucco (Torino, 1970; vive a Roma) è contenuto programmaticamente nei titoli della serie Ipotesi occidentale: Abiura – L’artista. I corpi sfatti di Bellucco hanno sempre rispecchiato un’idea decadente o pessimista; qui il riferimento però non è più alla decadenza esistenziale, ma si immerge in un significato di portata politica. Il modello occidentale-capitalista, opulento e autoreferenziale, mostrerebbe le crepe destinate a determinare il suo fallimento. E queste crepe sembrano infettare anche i corpi dei personaggi di Bellucco.
L’artista, torinese di nascita, oggi residente a Roma, si è sempre lasciato scivolare addosso le definizioni che gli venivano attribuite, impegnandosi coerentemente in un percorso creativo che concretizza una concettualità che preesiste all’opera. In poche parole, Bellucco non si vergogna di veicolare “messaggi” tramite la pittura: ogni quadro, ogni serie di lavori, si caricano di dichiarazioni politiche che somigliano da vicino a vere e proprie visioni del mondo.
In particolare, la lettura della situazione portata avanti in Ipotesi occidentale ha un che di marxista. Come Marx descriveva l’inevitabilità del fallimento del sistema capitalistico, i corpi di Bellucco simboleggiano l’ineluttabilità del pessimismo rispetto al mondo occidentale postmoderno. I personaggi -maschili e femminili- fanno “abiura” manifestando vergogna per i propri corpi, trasformatisi d’improvviso da opulenti a decadenti. Essi si coprono alternativamente il viso o i genitali, con gesto che si intuisce repentino. Come se fossero stati sorpresi a compiere atti immorali dall’occhio di un improvviso visitatore. Come se si nascondessero dallo sguardo impietoso che lo stesso Bellucco getta su di loro.
L’origine del mondo coincide con la profezia del suo imminente disgregamento: nella citazione del dipinto di Courbet la modella si copre il sesso denunciando la fine dell’orgoglio e della fecondità, soppiantati dalla vulnerabilità. Anche l’artista è oggetto di autocritica tagliente e definitiva: ritratto in posizione apparentemente autoritaria, anch’egli rivela la propria fragilità e mancanza di purezza coprendosi ora il volto, ora i genitali. La sua obesità è sinonimo di un ego strabordante; due tele raffigurano il prominente ventre dell’artista, in un’audace sintesi tra iperrealismo e logica astrattista.
L’aspetto chirurgico dell’occhio critico di Bellucco si esprime in una concezione quasi fotografica delle inquadrature. La frammentazione della consistenza visiva della pelle dei personaggi –insieme alle grandi dimensioni delle tele- consente di perdersi nelle superfici epidermiche. La tela funge così da specchio per il visitatore, che razionalmente vorrebbe credersi anni luce distante dalla carne semi-decomposta che osserva. Eppure, a un livello istintivo, non si può non provare la sensazione di una macabra consonanza con gli uomini e le donne che compiono l’Abiura sulle tele di Bellucco.
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Bellucco da Obraz, a Milano, nel 2003
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