Un cielo trapunto di tape. Alice ricama il cielo e lo fa con una cassetta degli attrezzi che assomiglia al necessaire delle sarte di Cenerentola. Bastoncini, filo trasparente, carta, gomma e nastro adesivo colorato.
Lo stupore e l’ironia, rarità nel disincanto quotidiano, sono le gambe sulle quali cammina la poetica di Alice Cattaneo (Milano, 1976). Giovane -davvero, e finalmente- con una valiga di esperienze tutte di alto lignaggio. Si è formata tra la Saint Martin di Londra, la Glasgow School Art e il San Francisco Art Institute. I suoi lavori sono in bilico tra la comunicazione di una felicità raggiunta e l’esigenza di scontornarla, per poi interrogarsi nuovamente.
L’installazione appesa al soffitto della galleria è sospesa nel vuoto e l’accenno di struttura è aggrappata al muro con piccole ventose di scotch. La sovrastruttura è stata abbandonata sul ciglio della strada -c’è e non c’è- basta immaginarsela guardando attraverso le luminose finestre su via San Fermo.
Un ritmo imprevedibile fatto di accelerazioni e pause dove si inserisce il pensiero pesante dell’osservatore. Alice Cattaneo di districa tra le lezioni americane del Calvino Italo e la magia scientifica del teatro. Un teatro che non si ha paura di calcare, senza l’alibi di luci colorate e scenografie di broccato. Un teatro nudo.
In mostra anche una scultura dove riconoscibili sono i regoli, l’unità 1, il cubo bianco che si alterna e diventa elemento figurativo e struttura portante. Architettura delicata dove l’insieme, con discrezione, impone una presenza che col trascorrere dei secondi diventa familiare. Un gioco visivo di cui si ha voglia di completare forme, curve, spigoli e anfratti.
Una sorpresa sono i video. La brevità e la pulizia testimoniano la consapevolezza di un mutamento di costume: la ‘camera oscura’ cuoce le volontà dello spettatore. Ecco allora piccole freddure filmiche, veloci episodi che ti prendono alla sprovvista e ti regalano l’insicurezza del poliedrico, del significato altro, del duale.
Un cucchiaino di plastica che si lancia tra gli scogli di un mare leggermente mosso. Il pigolio di un pomodorino. Una nave all’orizzonte. Il fruscio di una palma. Il bacio di due capperi. Il carillon dei piccioni. Due tazze. Un sedia gialla. Una spina elettrica che diventa un serpente su un pavimento ‘rettile’. E poi ombre, luci, colori. Un carosello timido, delicato ma denso.
Infine un cantante blu, all’Opera, acclamato. E lucean le stelle.
M2
mostra visitata il 7 ottobre 2005
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