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fino al 12.IX.2010 | Erwin Olaf / Phil Stern | Milano, Spazio Forma

di - 27 Luglio 2010
Quarant’anni tra l’uno e l’altro,
Phil Stern

(Philadelphia, 1919), Erwin Olaf (Hilversum, 1959; vive ad Amsterdam) sono in mostra con due
percorsi che, nelle molte differenze, svelano la comune genialità: condivisa,
affine la cura colta, raffinata dello spazio e della luce, con immagini dallo
speciale ritmo visivo.

Ma in Stern – foto in bianco e
nero, alcune notissime, di musicisti e cantanti jazz e divi di Holliwood – pare
prevalere l’intuizione, l’intelligenza curiosa dello scatto, quasi più un sottrarre
(specie l’aura dei divi) che un complicare, scelta che è invece cara a Olaf:
nell’artificio costruttivo spesso le sue opere sembrano cariche di una storia
che non si sa, non si può conoscere, ma s’intuisce nei personaggi, per le
posizioni occupate nel quadro, in racconti sospesi.

La verità della guerra, ma c’è poi
il cinema, con i volti di Sinatra, James Dean, Liz Taylor e innumerevoli altri.
Stern sottolinea l’importanza che ha avuto per lui quella speciale forma di
relazione che non era necessariamente d’amicizia (che non cercava: utile anche
una sorta di quieto distacco) con i più famosi personaggi del grande schermo,
creando piuttosto una condizione di “fiducia, tranquillità, agio”. Un atteggiamento possibile
anche per la mancanza di soggezione verso quelle figure-mito: ed ecco allora
Louis Amstrong in un momento di pausa (una quarantina le copertine di dischi
realizzate con immagini di Stern); Jack Lemmon divertito, in abiti femminili,
durante le riprese di A qualcuno piace caldo; Tony Curtis che aiuta il
fratello Robert a prepararsi per il bar mitzvah; o ancora Humphrey Bogart con la
figlia Leslie che ondeggiano sull’altalena.

Condizioni di vita sospese in Rain: accuratissime le scenografie di
Olaf, una scuola di ballo per esempio o una palestra, ciascuno assolutamente
solo con se stesso. Ma questa pare una condizione profondamente sentita per
quest’autore che ama riferirsi volentieri agli oggetti, ai colori, ai trucchi
del cinema degli anni ’50-‘60: gli sguardi non si incontrano, ciascuno vive il
proprio stato d’attesa, di tempo azzerato. Anche quando si avverte che qualcosa
è accaduto – come per quell’interno d’aula, con un anziano professore, una
giovane ragazza (per il ciclo Hope) – ciascuno difende il proprio intimo sentire da
possibili interpretazioni esterne.

La tensione comunicativa è negata
anche per la serie Grief, una pensosità smarrita, destinata a restare senza interlocutori. E
solitudine si coglie negli scatti di Hotel, le diverse figure sfiorate a tratti da una
sensualità profonda, intensa e “innocente”: perché nessuno doveva essere
presente lì a guardare. E di una bellezza, intelligenza, raffinatezza
indimenticabili sono Dusk e Dawn, affiancati anche da video, con il dominio del nero,
dell’oscurità da una parte, del biancore e della lucentezza dall’altra: ma in
entrambe queste non-storie con mamma e neonato e un bambino che resta sulla
soglia si avvertono ambiguità, paura e sofferenza trattenute, come una tragedia
di cui già si sa, destinata a ripetersi.


E di grande rigore sono i
cataloghi, due opere gemelle nel formato e nella scansione del volume.

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dal 16 giugno al 12 settembre
2010

Erwin Olaf –
Vite private

Phil Stern – Sulla scena

Spazio Forma – Centro
Internazionale di Fotografia

Piazza Tito
Lucrezio Caro, 1 (zona Bocconi) – 20136 Milano

Orari: da
martedì a domenica ore 10-20; giovedì e venerdì ore 10-22

Ingresso:
intero € 7,50; ridotto € 6

Cataloghi
Contrasto

Info: tel. +39
0258118067;
info@formafoto.it; www.formafoto.it

[exibart]

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