Arte e cinema: nella storia dei rapporti tra i due mezzi il punto è quasi sempre stato quello della tensione tra funzionalità (alla trama, al contesto, al mercato) e purezza dell’immagine. La maggiore frustrazione provocata dal cinema è quella della sua quasi inestricabile coincidenza con l’estetica mainstream, rendendo sul lungo periodo infruttuosi tutti i tentativi di decontestualizzazione dell’immagine filmica. Dal cinema futurista a quello surrealista, dal film d’artista all’Expanded cinema di Gene Youngblood.
La mostra Collateral indaga gli sforzi in questo senso di un altro mezzo: la videoarte. Una delle opere più dibattute di questi mesi è Sleepwalkers di Doug Aitken, una sorta di cinema all’aperto improvvisato sulle facciate del Moma di New York. In quest’opera l’artista fa cinema in prima persona, una forma di cinema espanso e potenziato, dove l’immagine costruisce narrazioni aleatorie e manipolabili dallo spettatore. Gli artisti raggruppati all’Hangar Bicocca utilizzano invece il cinema come contenitore di item visivi e concettuali da utilizzare e mettere in discussione. Una forma di “cinema” più frammentata, una videoarte che si mimetizza col mezzo filmico solo a livello di atmosfere e di richiami testuali, senza mettere in discussione la specificità dei due linguaggi.
L’allestimento dell’architetto Andreas Angelidakis proietta il visitatore in una sorta di multisala ideale, senza le distrazioni che trasformano i multiplex in una sorta di luna park per famiglie.
Gli approcci degli artisti sono molteplici: l’appropriazionismo è il più presente. Pierre Huyghe raddoppia l’immagine di Quel pomeriggio di un giorno da cani, affiancando al film la ricostruzione della rapina da parte del protagonista del vero fatto di cronaca. Compongono una sorta di blob Dimitris Kozaris, che assembla sequenze fantascientifiche, e il duo Christophe Girardet e Matthias Mueller, che riunisce frammenti che comprendono l’elemento -quanto mai simbolico- dello specchio. Più situazionista l’approccio di Brice Dellsperger, che impersona en travesti entrambi i personaggi de La febbre del sabato sera, e Pierre Bismuth che, come unico intervento su Il libro della giungla, fa doppiare tutti i personaggi ognuno in una lingua diversa.
Ma sono altre le opere che compiono un passo in più, creando atmosfere indimenticabili. Come succede nel caso dei migliori film. Runa Islam ricostruisce con procedimento indiretto la poetica di Ingmar Bergman, proiettando su tre schermi i luoghi rappresentati nei film del grande regista. Clemens Von Wedemeyer compie un remake sui generis de L’eclisse di Antonioni, producendo immagini vuote e silenziose, post-urbane, che non possono non toccare nel profondo lo spettatore contemporaneo.
Infine Melik Ohanian, la cui opera meritatamente è stata scelta come simbolo della mostra: Punishment park, film a lungo censurato negli USA, viene proiettato nel deserto, senza l’ausilio di uno schermo; l’artista, a sua volta, inquadra il proiettore stesso.
Collateral, in definitiva, aggiunge un suggestivo tassello a un’indagine necessaria per capire la poetica delle ultime generazioni di artisti, il cui immaginario è stato plasmato dalla televisione e dal cinema.
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stefano castelli
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