È la dislocazione a guidarci lungo quella strada che da Milano, seguendo il corso del Naviglio Grande, ci porta nel “paesone” di Abbiategrasso. Qui, nella Bassa, dove la nebbia fila densa come il formaggio una volta prodotto nelle tante casine, o cascine, disseminate sul territorio. Tra castelli, chiese e residenze, un tempo di proprietà ecclesiastica e poi “siti di delizia” dei signorotti lombardi o luoghi di controllo delle tenute agricole circostanti. Dislocazione, dicevamo. Perché nonostante Abbiategrasso sia per tutto il Rinascimento ed oltre uno dei più importanti borghi mercantili dell’hinterland milanese -collegamento fra Milano, Vigevano e i contigui territori della Lomellina e del Monferrato- la porzione di contado in cui è inserito rimane strettamente legata, per ragioni economiche, politiche e culturali, alla città di Milano. Ed è il duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza a volere, nel 1469, la realizzazione della monumentale chiesa dell’Annunciata, “bella quanto si possi”, e dell’annesso convento dei Minori Osservanti che oggi, dopo lunghi lavori di restauro, sono finalmente visitabili.
Strettamente legate alla cultura pittorica milanese tra Quattro e Cinquecento sono anche le decorazioni superstiti all’interno della chiesa: le Storie della Vergine riemerse dai restauri, dipinte sulle pareti dell’abside, firmate e datate (1519) dal pittore caravaggino Nicola Mangone detto il Moietta.
Le opere portate ad Abbiategrasso per l’occasione, poste a dialogare con quelle del Moietta, costituendone un sistema di riferimento culturale, sono tutte di artisti formatisi nella Milano di Leonardo e Bramante riuscendo ad assimilare, chi più chi meno, la lezione dei maestri dandone interpretazioni diverse. Geniale quella di Bramantino, (Noli me tangere, affresco strappato, Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco) che riconduce le istanze psicologiche leonardesche in atmosfere rarefatte, al limite della tensione intellettuale, ove le architetture di Bramante si fanno astrazione metafisica. Meno brillante la traduzione dei moduli leonardeschi effettuata da Marco d’Oggiono, tra le cui mani l’alta portata del messaggio del maestro si fa maniera e scema in moduli un po’ ripetitivi.
Il d’Oggiono è comunque uno degli artisti a cui Moietta guarda di più, insieme a Bernardino Luini, personalità sicuramente più complessa. Riferimenti sono avvertibili anche alla pittura di Bernardo Zenale (Madonna col Bambino e due Angeli, Milano, Pinacoteca di Brera).
Non si capiscono in realtà i criteri con cui sono state scelte le opere portate in mostra. E se il confronto funziona con gli affreschi strappati del d’Oggiono (Apostoli, Milano, Pinacoteca di Brera) ed è estremamente utile veder dialogare la Madonna col Bambino e santi, perno dello scarno catalogo del Moietta, firmata e datata 1521 (Caravaggio, Palazzo Comunale) con gli affreschi nel coro, parecchie presenze risultano incomprensibili.
Il posizionamento sull’altare maggiore della Madonna col Bambino, sant’Antonio Abate e Santa Barbara di Luini, proveniente dalla chiesa di Santa Maria di Brera è fuorviante; non si capisce la presenza delle splendide miniature di Francesco Binasco e così via. Soprattutto, spiazza la presenza della Pala dei Cordiglieri, recentemente ritrovata e reinserita nel catalogo del Cerano. Una tela proveniente, sì, dall’Annunciata di Abbiategrasso, ma realizzata più di settant’anni dopo gli affreschi del Moietta.
stefano bruzzese
mostra visitata il 3 marzo 2007
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