A ospitare la prima apparizione di
Boris Hoppek (Kreuztal, 1970; vive a Barcellona) nel nostro paese è Rojo Artspace, in piena Zona Tortona. Nel piccolo spazio sono in mostra una ventina di opere dell’artista tedesco, tutte create appositamente per l’occasione: due tele in acrilico di grandi dimensioni, alcuni acquarelli, collage, un paio d’installazioni e ovviamente, immancabile, qualche esemplare dei piccoli
bimbo-dolls, versioni sempre nuove e diverse dei piĂą famosi o famigerati
c.m.o.n.s. targati Opel.
Il tema centrale della mostra è quello eterno della maschera, anche se a farla davvero da padrone in questo caso è la sagace ironia dell’artista trapiantato nella vivace atmosfera di Barcellona. Il suo personale sguardo sul mondo e su tematiche delicate e universali quali sesso, razzismo, immigrazione, politica, fa capolino qui e là , con forza e chiarezza disarmanti, in tutte le sue creazioni, innocenti, ingenue eppure adulte, semplici e dirette eppure scomode.
Emblema piĂą noto di questa poetica sono sicuramente i
bimbos di stoffa. Non devono ingannare questi simpatici pupazzi, a prima vista poco più che strani e inquietanti peluche, ma in realtà giocattoli che d’infantile e innocente hanno ben poco: innanzitutto perché sempre fortemente connotati sessualmente, con gli organi genitali ben in vista anche se rappresentati in modo fumettistico, e poi perché dotati di un sarcasmo maturo seppur giocoso, a tratti perverso e assolutamente privo di tabù.
La produzione di Hoppek non si limita però ai pupazzi di pezza che gli hanno regalato la sorprendente fama internazionale: Boris nasce come street artist e lavora già dal 1990, invadendo con i suoi graffiti e le sue installazioni le strade di Berlino prima e di Barcellona poi. Ben riuscito e davvero interessante anche il suo artbook,
Tranquilo, una raccolta di opere di visual art, fotografie e immagini che tentano di riassumere il mondo di questo eclettico artista che della sua arte non vuole parlare, non la vuole spiegare, dice che non c’è molto su cui filosofeggiare e che discuterne potrebbe essere riduttivo. E forse ha ragione, perché si tratta di messaggi davvero immediati e spiazzanti. Hoppek non vuole nemmeno definirla la sua arte, considerandola più semplicemente
“qualcosa che fa quando gli va”.
Perfettamente in linea con la filosofia artistica di Hoppek, lo spazio di Rojo che lo ospita. Legata alla nota rivista omonima, la galleria si pone l’arduo e controverso obbiettivo di dar voce agli artisti e alla loro arte soltanto, senza svendersi al grande pubblico e senza piegarsi a compromessi. La spazio è la prima e per ora unica sede italiana di Rojo, consorzio nato in Spagna ma ora presente a San Paolo, Amburgo, Copenhagen, Lisbona, Helsinki e Cape Town.