La sottile linea che demarca il confine tra arte e moda è stato cancellato. Entrando nella galleria espositiva della Fondazione Trussardi ci si ritrova in un mondo magico, fiabesco, popolato da forme indescrivibili che attendono immobili di essere scrutate, mentre altre aleggiano sospese e si muovono al sospirare dello spettatore.
E’ difficile immaginare di essere davanti a delle vere opere d’arte trattandosi di una mostra monografica di un creatore di cappelli.
Il cappello, soggetto principe della fantasia di Treacy che si manifesta nelle fogge eccentriche di un’orchidea, di un veliero di piume o di forme astratte, è protetto alla vista dello spettatore da una selva di sculture zoomorfe, specie di mitili preistorici fossilizzati. Il caldo colore del legno di queste creazioni che richiamano, nelle fattezze, le sculture di Henry Moore, di Arp e gli esseri biomorfi delle tele di Mirò accolgono il visitatore al suo ingresso; si tratta di Hat Blocks, strutture portanti sulle quali viene concepito e conservato il cappello e rappresentano la terza fase della progettazione dopo il bozzetto (non presente in mostra) e l’ “osparterie” il modello realizzato in materiale flessibile e leggero che viene consegnato al fabbricante del cliché in legno.
Le “osparteries” pendono dal soffitto appese a fili invisibili e fluttuano delicatamente nell’aria, si lasciano osservare nel loro aleggiare per far scoprire le luci e le ombre con le quali si concretizzano nella forma finale del cappello.
Non si tratta di copricapo ma di architetture, di estensioni decorative del corpo femminile. I cappelli di Tracey decorano il capo della donna di spirali, di unicorni, bicorni, di volute, di fiori, di guizzi di piume, si simboli di antiche culture. Il “cappellaio matto” mette sogni in testa alle donne.
La mostra si conclude con un video delle sfilate delle opere di P. Tracey ma non prima di aver dato una sbirciata nel suo laboratorio attraverso due fotografie.
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Fondazione Nicola Trussardi
Silvia Banzola
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