Il segno pittorico di
Antonio De Luca (Pompei, Napoli, 1977;
vive a Valenza, Alessandria) è immediatamente riconoscibile. Si tratta di una
straordinaria capacità di sintesi e di equilibrata libertà espressiva, frutto
di un talento naturale, ma soprattutto di anni d’esperienza, nonostante la
giovane età. Padronanza e indipendenza gestuale, una mano veloce che, con
pennello o penna bic, corre sicura sulle superfici, stendendo grovigli e linee
che danzano tra macchie di colore e olio, pochi movimenti che sanno suscitare
atmosfere ed evocare ricordi attinti direttamente dal calderone informe del
subconscio, recuperando non solo immagini come fotogrammi, ma emozioni e stati
d’animo ben precisi.
La mostra alla Nowhere Gallery è una chicca. L’artista,
infatti, sperimenta il nuovo supporto della ceramica, con un risultato
originale ma perfettamente in linea con la sua produzione precedente. Le
delicate e brillanti superfici vengono solcate e incise; un’esigenza dettata
dall’incontro con l’arte di
Lucio Fontana, che porta De Luca a reinventare i
confini della materia artistica.
La sua pittura colpisce perché sollecita il
ricordo attraverso gli eloquenti tagli della ripresa pittorica, paragonabili a
scatti fotografici realizzati con una certa casualità. O, per rendere ancor
meglio l’idea, si potrebbe dire che attraverso i suoi quadri veniamo
catapultati all’improvviso nel corpo di un’altra persona, esattamente nel corpo
di un bambino alto poco più di un metro, che osserva con timidezza la realtà e
che, preso dalla soggezione, non alza troppo gli occhi. Un archetipo cui non ci
si può sottrarre, poiché è un punto di vista che è appartenuto a ognuno di noi.
Alla pittura e all’arte in generale non serve
ricorrere a uno scopo per avvalersi di senso, ma De Luca ha senza dubbio un
obiettivo: quello di risvegliare, attraverso immagini istantanee, il pascoliano
“
fanciullino” sopito con cui ricongiungersi. Duccio Demetrio scrisse un elogio
all’immaturità (ma non al
puer eterno), a quella capacità di saper vedere
ancora il mondo con gli occhi stupiti di un bambino. Una dimensione prediletta
e gioiosa.
Ma le contraddizioni, De Luca lo sa, non
mancano. Quell’età spensierata può essere anche carica di piccoli e grandi
dolori, e a tal proposito val la pena citare parte del bellissimo discorso del
maestro Richet, tratta dallo splendido film
L’argent de poche (1976) di
François
Truffaut:
“Un adulto infelice può ricominciare la vita altrove, può
ripartire da zero. Un bambino infelice nemmeno lo pensa, sa di essere infelice,
ma non può dare un nome alla sua infelicità e soprattutto dentro di lui non può
nemmeno mettere in discussione i genitori o gli adulti che lo fanno soffrire”.