L’artista è giovanissimo ed è alla sua prima mostra ufficiale. Il curriculum vitae espositivo dunque non è praticamente ancora stato intaccato: il bagaglio di progetti è semplicemente intonso e quasi del tutto irrilevante. Ma questo poco importa. C’è un solo particolare che contraddistingue il neofita tra miriadi di altre presentazioni e biografie.
È il dettaglio dei viaggi compiuti e delle mete raggiunte al loro interno. Egitto, Marocco, Tunisia, Spagna, Turchia, Grecia, Messico e Cuba. Stra-battute mete turistiche, ma anche percorsi soggettivi assaporati come fattori ineguagliabili, che hanno finito poi con il contagiare l’esordio creativo di questo neo-architetto. Guardare, per l’autore, a seguito di queste esperienze, è diventato viaggiare e imparare; ammaestrando il proprio vissuto diegetico, attraverso l’apporto iconografico e la pulsazione compositiva di un nuovo
Marco Demis (Milano, 1982), nuovo al momento della produzione e della realizzazione di
Rag dolls.
In galleria, sulla parete che accompagna le scale poste tra i due diversi ambienti, sono stati appesi all’intonaco nudo cinquanta dipinti di piccole dimensioni. Cinquanta oli su carta, in bianco e nero, che lasciano solamente una delicatissima traccia di quello che potrebbe rappresentare il vero motivo di questa personale, e cioè il senso per la pittura sottomesso all’istinto forzato della figurazione. La pura energia narrativa di questo spurio impianto stilistico depone i propri punti di forza a favore del disvelamento, quell’apertura dello sguardo che da solo diventa motore dell’intero percorso allestitivo.
Rag dolls, nel suo complesso, è infatti una personale lieve – seguendo l’etimo originario che trae le proprie radici dal sostantivo latino
levitas, grazia morale e leggerezza di concetto – all’insegna della promessa, quella fatta da questi lavori, di compensare con la crescita del sé la nascita prematura di Mademoiselle Recherche.
È più che logico intuire che Marco Denis, attraverso i lavori esposti, sia rimasto concentrato su un solo, inossidabile punto di partenza creatore, senza spingersi a intuirne alcun modello teorico-formale conseguente. Le figure femminili che dipinge assomigliano a un tracciato netto e continuo di volti animati, soggetti illustrativi; fluide silhouette che dirigono i loro piccoli sguardi verso sogni rinchiusi poco più in là della loro gabbia prospettica di dotazione.
Il pregio di queste rigide intuizioni compositive, di queste siberiane bambole di pezza rilascia a mano a mano, durante la visita, la sua genialità improvvisa, assumendo il carattere unico dell’appunto di viaggio: quello dato dall’essenzialità risolutrice della descrizione.
I deliziosi soggetti esposti, infatti, carichi dall’intensità retrò di cui solo un artista radicale può restituirne al meglio l’intento primitivista, contengono al loro interno la trasparenza dello sguardo. La chiarezza che sola appartiene al registro scopico della fantasia, attraversata come una terra incolta che, da secoli e secoli, uomini e uomini ancora continuano a distruggere per costruire i loro castelli.