La tecnica di Terry Rodgers (Newark, New Jersey, 1947) è finalizzata all’analisi della micro-relazionalità tipica di un mondo in cui l’opulenza e l’eccesso di bellezza crea un appiattimento dei sentimenti vitali. Molto attivo tra New York e Los Angeles, l’artista americano (che attualmente vive e lavora a Columbus nell’Ohio) presenta la prima personale italiana. Una serie di 7 grandi dipinti pensati come fotogrammi di un film che ritrae l’alta società americana in una scena tipica: un party in un lussuoso loft di Manhattan che assume vaghi toni orgiastici. È una scena di genere, popolata da volti e corpi bellissimi, ma indifferenti gli uni agli altri.
Il modello di moda può essere un modello di vita? Questo sembra domandarci
L’impianto strutturale è sotteso da un continuum spazio temporale, come se ci fosse una storia in atto. In realtà non è narrato alcunché, se non l’attesa di qualcosa che non accade e di cui le ricorrenti figure al telefono sono impotenti emissari.
Case lussuose, giardini, terrazze e piscine sono gli ambienti che Rodgers popola di personaggi spesso piegati in gesti e posture innaturali. Sono corpi dalla bellezza evanescente, simbolo di uno scacco esistenziale e modello al rovescio delle tante “vanitas” raffigurate dall’arte classica. Complice la provocazione ambigua di questi dipinti, innescata da una dialettica irrisolta tra nudità e vestizione, lo spettatore è chiamato a farsi voyeur di una vita notturna newyorkese non bene identificata ma proprio per questo più seducente.
Questo sommarsi delle diverse contraddizioni nella pittura di Rodgers porta al risultato di un realismo mitico in versione newyorkese moderna, che è poi la versione dell’immaginario massificato odierno. Se sei giovane bello, ricco e newyorkese non ti manca nulla. Sei perfetto e puoi aspirare ad essere ritratto a imperitura memoria. Forse ti manca la vita. Ma ciò non sembra importare al ritrattista, il quale, naturalmente, newyorkese non è…
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