Negli scatti di David Goldblatt (Randfontein, Sudafrica, 1930) non c’è spazio per i sensi di colpa. Per le remore sulla bellezza. Il conformismo ammiccante della trasparenza trascina e guida interamente la lettura delle immagini. Senza lasciare fiato per altro. La meraviglia e lo stupore diventano prese di posizione, presupposti nei confronti del mezzo-fotografia. Sorpassando a volte i doveri della cronaca giornalistica. Meraviglia e stupore, come chiare roccaforti di un mondo inventato e immaginato senza fantasia. Da raccontare in crudeltà. La terra degli ossimori, il Sudafrica, terra natale di Goldblatt.
Chiunque visiti questa retrospettiva, trattenuta a stento dalle pareti dello spazio Forma, si trova davanti un condensato, che comunque descrive una visuale vasta e critica sugli squilibri creati dall’apartheid. La lente di Goldblatt esplora e racconta, senza prevaricazioni, le strutture e le impalcature simbolico-idealistiche di una società. Una società dominata che racchiude e rincorre il proprio dominio. Attriti e connivenze tra neri e bianchi. Questa serie di 136 foto, prese a prestito dagli anni ’60, include anche qualche scatto più recente, frutto di uno studio approfondito nel 2004. L’intera rassegna è un insieme di ritratti, close up e paesaggi, a colori e in bianco e nero. Scenari che a volte penetrano e a volte esaminano il contesto. Seguendo un intuito espressamente razionale.
La mostra è suddivisa in otto sezioni. Otto fasi tematiche che ripercorrono, raggruppano e focalizzano, a posteriori, l’indagine sociografica che il fotografo ha catalizzato negli anni. Il percorso comincia con i primi reportage del 1973 catturati nelle miniere di diamanti.
Il corpo nero, usato come ingranaggio di una macchina senza dignità, non è ancora al centro dell’obiettivo del giovane Goldblatt. Solo più tardi, nel 1980, quando si spalancano le case della middle class di Johannesburg, avviene il vero stacco e la conseguente presa di coscienza della diversità. I primi piani di interni borghesi riprendono la realtà indisturbata, quieta e chiusa delle famiglie bianche. Luoghi dove non succede niente. In assiduo contrasto con le architetture dei cantieri fatiscenti, dei corpi lasciati al sonno e alla strada, delle bancarelle improvvisate, tenute dal marciapiede.
L’esposizione chiude, infine, con la serie sui ritratti della nuova classe di funzionari. Anche se rigida e descrittiva, Funzionari statali ha il pregio di sottolineare con semplicità le gerarchie delle strutture umane. Inventando un terzo polo, sociale e mentale, nei confronti dei due estremi entro il quale si sposta Goldblatt. Attirato tanto dalle forme protette della Baaskap (la dominazione bianca) quanto dagli esterni indomiti dei nativi.
Le reazioni incredule di chi guarda, dunque, si scambiano di posto con le immagini sotto osservazione. Volti, moti e pose, senza effetti speciali, diventano elementi di natura, marchingegni narrativi che danno parole a questo viaggio, fra le distanze della modernità. Linee del tempo africano dove ogni centro è lasciato al contorno delle cose.
ginevra bria
mostra visitata il 29 giugno 2007
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