Sono nove le grandi sculture in bronzo che si possono osservare fra le candide pareti della galleria. Dopo alcuni mesi di predominanza “astratta”, i lavori carnali, datati dal 1993 al 2002, dello “spagnolo” Miquel Barceló (Felanitx, Majorca 1957. Vive tra Parigi, Majorca e il Mali) costituiscono un cambio di prospettiva che non passa inosservato.
In realtà, la galleria milanese aveva già ospitato Barceló nel medesimo periodo dell’anno 2002, ma in quell’occasione erano esposte tele e disegni, una “Raccolta di polvere” che aveva il suo centro propulsore nella sabbia del paese africano. Di quella mostra restano validi alcuni aspetti, concernenti la poetica complessa di Barceló, che vanno ricostruiti e organizzati con attenzione: il rito magico, il tema del teschio, le stalattiti calcaree e animali. Un primo livello che raggruppa questi dati, a prima vista disorganici, è il concetto ristretto e al contempo esploso di atelier in Barceló, come ha insegnato la grande personale che fu allestita alla romana Gnam all’inizio del 2003. Anche in quel caso, specie in Table aux têtes, si concentravano libri, teschi e teste animali, come a voler indicare un senso intellettuale e fisico che sgomberava il campo dalle pretese riduzioniste di sapore cartesiano.
Tornando alla mostra milanese, si nota innanzitutto che l’interesse per la scultura nasce in Barceló proprio nel 1991, quando prendono vita piccoli lavori che traggono spunto dal suo primo viaggio a Mali, risalente al 1988. I lavori più “antichi” sono due sculture del 1993, Sopa II e Tête de Cochon, che si riferiscono alla mattanza del maiale che si svolge annualmente, in autunno, nella villa spagnola dell’artista. Qui ritroviamo quel plesso di questioni a cui si faceva cenno: il rito non è magico, ma si ammanta di sapore ancestrale e tabù; il teschio e l’animalità formano un paiolo in cui le forze paiono dissolversi, ma solo per ricostruirsi altrimenti, trasferendo animisticamente la propria potenza in formulazioni differenti. Il tema del teschio ritorna d’altronde in Autoportrait sur Pichet (1998), con la testa dell’artista poggiata su una caraffa, ironico e autorevole, questo è indecidibile. Le altre sei sculture derivano da un lavoro di modellazione della ceramica, che ci esorta a rammentare l’ascendenza concettualista di Barceló, quando nella seconda metà degli anni Settanta entrò nel gruppo Taller lunatic e codiresse la rivista “Neon Suro”.
Un’ultima annotazione a proposito di Crani gran (1998): le forme, che derivano dalla lavorazione “a caldo” della ceramica, rimandano allo splendido lavoro di un fumettista assai misconosciuto, Miguel Angel Martin.
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