Lo spazio e il tempo. Sono questi due elementi che più di tutti determinano la tensione. Lo spazio come assetto formale e il tempo come durata dell’azione. Azione spesso impercettibile e silente, in realtà ben presente e motivata. Marcello Moscara (Galatina, Lecce, 1972) è abilissimo regista dei suoi scatti fotografici, vere chicche di cura formale e di scelta, realizzati con una Mamiya a telemetro 6×7 e con una pellicola per diapositive. Senza artifizi digitali se non quello di cancellare il supporto di legno che gli permette di sospendersi sul mondo, come unico ritocco finale di pulizia estetica dell’immagine. E l’agente -colui che agisce- è sempre lui, l’artista. Pur non essendo un autoritratto, la sua figura è sempre lì, incastrata in posizione perfettamente obliqua tra le inquadrature architettoniche della struttura spaziale, con un suo preciso significato ed una sua ragione. Così come la sospensione, sia fisica che esistenziale, è condizione che sente profondamente sua, come un modo tutto intimo di rapportarsi allo spazio circostante e di oscillare, come fermo in un momento di riflessione tra l’impeto del cadere e la spinta del risollevarsi.
E’ l’uomo che viene a far parte del paesaggio intorno, che s’inserisce fra i tagli geometrici razionalmente calibratissimi, che s’impossessa dello spazio nella luce fredda e luminosa che non consente sbavature.
L’essere umano gioca con l’equilibrio del corpo e della mente, s’immerge nella situazione ambientale e nell’organizzazione compositiva dell’immagine affinché tutto quadri esattamente. Perché Mascara non improvvisa, al contrario studia. Studia le inquadrature e i passaggi visibili e non, studia le atmosfere silenziose create dalla luce, i luoghi che cerca e sceglie accuratamente per le sue scenografie: piscine vuote, stabilimenti balneari in disuso, fabbriche dismesse, architetture in costruzione o abbandonate. Luoghi della sua terra, non-finiti, che hanno avuto un tempo una loro vita, che sono stati abitati e toccati dall’uomo seppure solo per un momento, che ne ha lasciato una traccia, benché labile e appena visibile. E studia l’essenzialità del colore, sempre sobrio ed elegante, un colore come sensazione fisiologica, interpretazione psicologica ed emozionale, modo e mezzo di conoscenza. E studia pure i riflessi delle ombre che creano anch’esse prospettive geometriche a scalare, sofisticato come Franco Fontana nell’estrarre pochi elementi essenziali e creare un paesaggio fatto di relazioni indefinibili tra spazio, forma, disegno e colore.
Con una fotografia d’alta qualità, Moscara riesce a rendere con raffinatezza il sentimento suscitato dai luoghi, senza stereotipi. Ci riporta a Luigi Ghirri, che l’artista considera modello, nel costruire immagini che diano nuove possibilità di percezione, attraverso il sapore affettivo dei toni. Gianni Celati scrisse che Ghirri rappresentava tutte le apparenze del mondo come fenomeni sospesi, e dunque non più come fatti da documentare. In questo modo, ogni momento del mondo è così riscattato dalla possibilità di ridargli una vaghezza, di riportarlo al sentimento che abbiamo dei fenomeni. Dalla possibilità di lasciarlo sospeso.
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