La Galleria Artra inaugura la nuova sede nei pressi di Porta Romana con la prima personale del giovane Gianluca Capozzi (Avellino, 1973). Sembra quasi naturale trovare, dietro il portone, nel cortile di un’autorimessa con le pareti a strisce diagonali gialle e blu, delle immagini che immediatamente suggeriscono l’idea del viaggio. La prima impressione è infatti di trovarsi di fronte ad un reportage fotografico che racconta di strade, palazzi, cortili, uffici, balconi, automobili e mezzi pubblici nonché della varia, casuale umanità che li attraversa, li usa, lavora, magari solo passa di lì. Come tutti.
L’artista ha raccolto con la macchina fotografica queste immagini (tranne la serie dell’autobus, reperita in internet) nei suoi viaggi: nella nativa Italia meridionale, nella Spagna del Sud (amata a partire dall’esperienza dell’Erasmus a Granada), in Marocco. Il fatto di non aver scelto luoghi rappresentativi o riconoscibili accentua la sensazione del frammento, già suggerita dal fatto che la pittura sulle tele (una ventina, per lo più di dimensioni ridotte) continua sullo spesso supporto laterale. Inoltre emerge con maggiore evidenza il carattere che accomuna questi luoghi: la presenza costante della forte luce solare, mediterranea, che si staglia con netto contrasto da zone d’ombra profonda.
L’utilizzo delle immagini fotografiche come spunto e modello
L’intento di Gianluca Capozzi è infatti quello di amplificare la percezione delle immagini e delle loro caratteristiche, delle loro qualità (fisiche), della loro sostanza, non della realtà che rappresentano. L’artista dichiara di non essere mosso dall’interesse di trasmettere significati concettuali né simbolici e nemmeno di immobilizzare degli attimi. Propone al contrario una riflessione sull’immagine in sé e sulla possibilità di offrirla al pubblico, così rielaborata, senza l’interferenza del pensiero. Ciò che gli interessa del rapporto con il reale è che esso è, in prima istanza, un’immagine nei nostri occhi. Viene così sospesa la successiva -e ingombrante- fase di valutazione, di catalogazione nel ricordo, di attribuzione del significato.
Senza conoscere queste motivazioni si rischia di fermare la lettura delle opere alla piacevolezza dell’esecuzione e del risultato finale, di limitarne il senso all’idea del frammento di luogo e di tempo e alla curiosità di saperne il contesto, grati comunque per quel desiderio di viaggiare che rimane.
anna m. colombo
mostra visitata il 23 maggio 2007
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