Di ritorno da un periodo di lavoro in una città lontana da noi come Baghdad, è deciso a dividere il suo attuale momento tra Belfast e Belgrado, capitali di un’Europa marginale, caotica e non allineata. La dimensione del luogo sembra fondamentale per Phil Collins, e le sue coraggiose scelte geografiche costituiscono il fulcro della sua poetica, prima esperienziale e poi intellettuale.
Sbocciato nel 2000 a Manifesta 3 in Slovenia e conosciuto per aver partecipato nel 2001 alla Biennale di Tirana, presenta ora in Italia Becoming more like us, mostra ospitata in un allestimento riuscito presso lo spazio Artopia di Milano. In una serie fotografica, Collins porta il nostro sguardo nei sobborghi di Belgrado, e ci fa incontrare i ragazzi in immagini rubate al momento, scatti immediati senza pose: giovani e
E’ difficile invece percepire come “uguali” i personaggi dalla forte caratterizzazione somatica mediorientale ripresi in un’incessante serie di primi piani frontali, soggetto di uno dei quattro video che completano la mostra. Sono iracheni. E’ gente di Baghdad. Il titolo della mostra diventa enigmatico. Simili a noi? Loro non tendono verso di noi, noi non vogliamo essere punto di attrazione per loro, non prevediamo niente di simile ad una “allargamento a sud est” e la loro cultura, talvolta, ci spaventa.
In un altro video, una bizzarra intervista ad un giornalista americano inviato in Iraq, che si presta ad accettare un bicchiere di vino per ogni domanda, tanto da arrivare, da serio e impostato, ad un finale goliardico. Nel montaggio l’intervista risulta ancora più paradossale: l’ordine delle domande-risposte è esattamente invertito.
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