Questa volta è il paesaggio a essere rovesciato. Dopo le due serie
Reversed Cities e
Reversed Reinassance,
Francesco Pignatelli (Milano, 1971) rivolge l’obiettivo alla natura e il suo interesse sembra passare dalla gnoseologia all’etica. Non si tratta più del tentativo di cogliere la visione “noumenica” della macchina o di riscattare la visione di opere del passato ormai troppo conosciute. Dai suoi scatti emerge uno sguardo che vuole rinnovare la percezione del paesaggio, e ne sottolinea la fragilità attraverso immagini che affascinano e respingono nello stesso tempo.
In questo progetto, Pignatelli sembra dominare più compiutamente la tecnica del negativo, creando immagini suggestive e piene, che conquistano del tutto lo sguardo senza far avvertire l’assenza del positivo e desiderarne la realizzazione. I colori e i piani delle foreste fotografate vengono sovvertiti, ma tentando una resa più completa del “rovesciamento” attuato attraverso le stampe dei negativi, digitalizzati e rielaborati nei colori al computer. Il risultato è quello di una natura distorta, in cui lo spettatore subisce il paradosso della visione di un paesaggio innaturale, dai colori sbagliati che -quando il soggetto rimane riconoscibile e non rinvia oltre se stesso, nella dimensione astratta di matrice quasi pittorica di
Fragile 11 ad esempio- denunciano malattia e sofferenza. Come in
Fragile 1, dove i tronchi in primo piano sembrano svanire dissolti nel bianco, come cancellati, mentre i rami sullo sfondo si compongono in un intreccio di linee indifferenziate. O in
+Fragile 53, dove il sottobosco si colora dei toni dell’afalto in una foresta dai colori acidi.
Nella serie
+Fragile, la natura maltrattata riceve un’interpretazione non solo visiva ma anche materiale. Le fotografie sono accartocciate e poi ricomposte all’interno di teche in plexiglas. Le pieghe sulla superficie delle stampe, che danno una certa tridimensionalità alle immagini, approfondiscono il disagio della visione e respingono ulteriormente lo spettatore. Rimandano a una condizione di rifiuto e scarto, come qualcosa che si è rigettato perché ormai vecchio, rovinato, inutile. Si accentua la corrispondenza fra gli scatti e il paesaggio perduto e deteriorato attraverso l’azione dell’uomo e si aggiunge il contrasto fra il maltrattamento delle stampe e la loro conservazione nelle teche, tra la rovina e il suo essere custodita.
Come nella poesia di Andrea Zanzotto. Il sentimento di perdita nutre la necessità di salvaguardia nel “canto” della fine del paesaggio. E riflette il valore di ogni singola porzione di ciò che resta, l’esigenza di rispettare quel residuo fragilissimo e instabile che è sopravvissuto alla nostra violenza.