In poche sale e con un esiguo numero di opere si cerca di tracciare un percorso in divenire. Hervè Graumann (Ginevra, 1963) fa capolino già dall’ingresso. Una parete è completamente ridipinta, o meglio suddivisa e ridipinta, in larghe bande che si oppongono dal punto di vista cromatico alle quattro tele applicate sulla stessa. Colori acidi e freddi, di natura tutt’altro che biomorfa. Scaturiti da operazioni di logica computazionale, cercano attraverso lo sfruttamento del mezzo matematico (computer) di ottenere dei risultati creativi.
Non è solo il colore riprodotto in forma hi-tech a pervadere il modus operandi dell’artista svizzero, ma anche la forma standard della sua riproduzione televisiva: il pixel.
Una tela infatti si ricopre di puntine metalliche colorate, per lo più nella sequenza di bianco e nero, per riprodurre il contorno di un teschio. In una delle versioni della tecnica in questione, addirittura l’effetto è reso tridimensionale. L’oggetto preso in esame è la tv stessa, estrapolata dal suo contesto (ormai) casalingo e riprotta con un notevole accento plastico indotto.
In un angolo tre piccole lampadine colorate sono collegate rispettivamente ad una serie di interruttori, la cui sconosciuta combinazione permette il libero scorrere della corrente elettrica, in un alternanza di luce e buio di provenienza algoritmica.
Non solo colore, non solo luce: gli oggetti che popolano alcune fotografie anticipano ciò che è stato realizzato qualche metro più avanti. Pur essendo formata da un groviglio di oggetti, l’installazione è perfettamente ripetibile. I componenti delle installazioni stesse si dispongono in modo compatto e schematico, secondo logiche preordinate, assemblati prima con estrema precisione a formare una matrice dalla quale sembrano scaturire tutte le altre, identiche alla prima. Quello che le riproduzioni fotografiche avevano tentano di farci percepire diventa assolutamente palese nella realizzazione fisica: il modulo può essere ripetuto all’infinito. Un cd, un bigodino, delle cannucce vengono serviti su un piatto d’argento –dentro un secchio- come parole chiave di uno stesso tema imprecisato, e riproposti nello stesso ordine, con la medesima sequenza continuamente. Così come un file allora, o qualsiasi altro dato di natura digitale, le cellule che compongono le opere di Graumann sono infinitamente ripetibili, si espandono nello spazio come superfici geometriche.
claudio musso
mostra visitata il 7 ottobre 2005
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