Katrin Kampmann (Bonn, 1979), giovane artista berlinese della scuola di Karl Horst Hodicke, si presenta a Milano con un’esplosione di colori che ricorda etniche stoffe batik o variegate allucinazioni fine anni ’60. Con o senza malizia viene allora da chiedersi da dove l’artista prenda ispirazione. Dalla realtà che la circonda, risponde lei. Eppure non vediamo palazzi e strade: non vediamo il grigio di una città. Solo l’intensa policromia e le grosse dimensioni delle tele richiamano disordinatamente dei murales metropolitani. Anche chi non sia mai stato a Berlino può ragionevolmente dubitare che si vedano ragazze accompagnate nelle loro passeggiate da socievoli scimmioni, eppure non sono questi gli unici animali selvatici che compaiono nelle tele di Kampmann. Pappagalli che trasfigurano in camaleonti o lucertole chiazzate si mimetizzano in mezzo a macchie di pittura dai confini irregolari, come in mezzo a intricate foreste tropicali. Rimangono nascosti al primo sguardo, per sorprendere lo spettatore distratto che ripassa un’altra volta; si materializzano a poco a poco, sfidando la vista e la capacità percettiva. Non dobbiamo pensare ad azzardi della fantasia, ma forse bisogna credere alla giovane pittrice quando dice di prendere ispirazione da tutto ciò che vede intorno a sé.
Senza snobismo l’artista lascia entrare nei suoi quadri fotogrammi del piccolo schermo, tratti per esempio da documentari naturalistici. Secondo questa prospettiva, anche le fotografie rientrano a pieno titolo nella realtà, fatta di sé stessa nella sua immediatezza ma anche delle sue rappresentazioni. Dalla posa dei soggetti femminili, sorridenti e consapevoli come di fronte all’obiettivo di un amico o di un parente, sembra proprio che sia la fotografia il passaggio precedente all’opera pittorica.
Nonostante gli abiti variopinti, il pallore ci queste figure e le fessure trasparenti che lasciano emergere i colori dello sfondo dietro di esse, le ricollegano a fantasmi, spiriti o forse negativi fotografici. Pur ispirandosi a strumenti precisi di riproduzione dell’immagine, l’artista non si arrende alla fissità e all’incontrovertibilità della visione unica. Prima e dopo aver dipinto le figure dominanti, versa i colori sulla tela e li lascia colare, per potere anch’essa godere delle loro nuove, inaspettate associazioni. “Non mi piace sapere dal principio cosa verrà fuori”, dichiara l’artista, “voglio anch’io potermi stupire di fronte al risultato”. Varietà e casualità: sono questi modi con cui la realtà irrompe imprevedibile e prepotente nelle opere di Katrin Kampmann, le chiavi del suo variopinto realismo.
anita fumagalli
mostra visitata il 22 febbraio 2007
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