Barbara Bologna We are a video, foto di Silvia Matteini
Assistendo a WE ARE A VIDEO, la prima sfilata di Barbara Bologna (collezione primavera/estate 2020) si ha la forte sensazione di non essere dinnanzi a un mezzo –la moda- che traduce codici, culture e subculture in qualcosa di commerciale (come maison ultra classiche che creano per la MFW2019 filtri IG d’ispirazione trapper e vaporwave, per intederci) ma di trovarsi invece alla fonte di quell’immaginario creato anche in modo atipico dall’intreccio tra l’artista/designer e chi sfila.
Scelti attraverso i loro profili instagram i volti e i corpi di WE ARE A VIDEO sono parte attiva del lavoro di Barbara Bologna che vede nel suo casting la capacità di amplificare i capi dell’ultima collezione grazie alla loro fortissima personalità e a fisicità non conformi. Mood e colori di abiti che addizionati danno la sensazione di fare il contrario di ciò che di solito avviene: cioè mettere a nudo modelli e modelle che abbandonano totalmente il concetto di catwalk, muovendosi ognuno a modo proprio.
Qui non importa il genere né l’identità sessuale di chi indossa gli abiti: sono essere umani, conta solo questo. I tempi si dilatano per creare uno show di 30 minuti, i corpi si susseguono irrompendo con le loro identità – tutte diverse per genere, forma, provenienza, background. Eppure si ha l’impressione di trovarsi in un club, dinnanzi a una tribù che condivide immaginari, linguaggi e visioni: non sono manichini o corpi da ridisegnare, dunque, ma persone reali con cui risuonare e assieme alle quali dare vita a un’estetica potente. Come una band di 28 elementi, come un’orchestra. Corpi maschili/femminili e in transizione, corpi “parlanti” e fortemente comunicativi. I corpi politici di Barbara Bologna sfilano su una passerella che gira tutta attorno al pubblico disseminato in quattro aree, il front row si moltiplica lasciando a chiunque l’opportunità di vedere da vicino una parte e -allo stesso tempo- sottraendone un’altra creando complessità di visione. Gli abiti mostrano un proliferare di mondi paralleli srotolando una narrazione che corre dal luxury allo streetwear con contaminazioni dark punk anni 90’, fino alle ultime creature che –sfilando- cadono letteralmente ai piedi degli spettatori in un sonno profondo e improvviso dal quale non si risveglieranno fino a quando l’ultimo invitato non sarà uscito dal teatro trasformando l’evento in una durational performance. Sleep with me, sembrano dire i corpi a terra. E verrebbe davvero voglia di sdraiarsi per continuare questa connessione totale con loro e non spegnerne la visione.
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