Brain-stormig sulla tua ultima sfilata…
Paris. Abiti rockmantici per piccole mattine. After Tee Shirts per il DanceFloor. Grandi guanti bianchi. Cuori. Gatti. Coccodrilli. Stelle. Abiti maschili indossati da donne. Scarpe come bandiere. Storie di ufo. Nero su nero. Bianco su Bianco. CinturePop. Pirati.
Nella collezione precedente, autunno/inverno 2006, uno dei tuoi look è un omaggio al Bardo. Che ruolo ha per te la letteratura?
La perdita di mio padre a soli 15 anni mi ha portato a leggere moltissimo, privilegiando storie medievali. Ma il fulcro del mio immaginario va ritrovato nella letteratura fantastica del XIX secolo. Bram Stoker, Mary Shelley, Italo Calvino. “Le avventure di Arthur Gordon Pym” di Edgar Allan Poe è stato una guida. Anche “La leggenda di San Giuliano Ospitaliere” di Gustave Flaubert. Inoltre mi hanno sempre ispirato Molière e il Cyrano de Bergerac. La letteratura mi ha convinto che ci fosse un mondo “altro”. Per questo motivo ho voluto scrivere “Eneco”, la storia di un cadetto di guascone del XIX secolo che parte per la Spagna. Scrivere mi dà veramente un senso di vertigine senza limiti, mi permette di realizzare un’utopia.
Contaminazioni con la letteratura e digressioni nel mondo dell’arte. Come fu lavorare fianco a fianco con Basquiat per la collezione del 1984?
Io e Jean-Michel passavamo interi pomeriggi a disegnare, così come ho poi fatto insieme a mio figlio. Il mio lavoro era ossessivo. Era il periodo della Transavanguardia italiana ed è stato uno dei momenti per me più esaltanti. Volevo disegnare la più bella collezione “sentimentale” del mondo.
E proprio come opere d’arte le tue creazioni sono state recentemente esposte presso Victoria & Albert Museum di Londra. Quali i pezzi inseriti nella mostra “Popaganda”?
L’abito/Zuppa Campbell, il cappotto di pelliccia
Abiti Profani e abiti Sacri. Tu sei noto per aver creato, nel 1997, gli abiti per Papa Giovanni Paolo II e per i 5000 sacerdoti che parteciparono alla XII Giornata della Gioventù di Parigi. Un arcobaleno dai vibranti colori campeggiava sulle vesti ecclesiastiche: quei colori erano anche il simbolo del gay pride…
Ma l’arcobaleno è citato nella Bibbia… Finché ci sarà, regnerà la pace tra Dio e gli uomini. E come mi ricordò Monsignor Lustiger, geniale arcivescovo di Parigi, “non c’è alcun copyright sull’arcobaleno”. Divenne poi bandiera della Pace e simbolo di tolleranza e unione fra le razze. Il Papa stesso lo definì cemento della fede e della speranza.
La tua figura di designer è trasversale. Parte dalla moda e approda ad altri settori, da quello delle automobili (Smart) a quello dello sportswear (Le Coq Sportif e Rossignol), passando per l’interior design: hai collaborato con marchi come Ligne Roset e Taiping. Quali gli elementi di una home-collection firmata da te?
Sono un figlio del Bauhaus. La mie prime produzioni di moda e di design partono dalla funzionalità e poi guardano alla libertà di espressione. Per essere mia una collezione deve avere un 30% di humour e il restante 70% è uno spirito trascendentale neoclassico.
Il gioco è una componente essenziale della tua produzione. Il camouflage è un altro tuo modo di giocare con la moda?
Grazie alla stampa mimetica è possibile industrializzare l’unicità. I capi non saranno mai identici. Come diceva Pollock: nessuna macchia è uguale all’altra. Il camouflage è la mia arma nella lotta per l’unicità.
La tua prossima sfida?
Vorrei aiutare ancora di più una nuova generazione di creativi. Una tempo avevo la “Assistance”, che mi costava una follia, ma realizzava molti sogni di giovani artisti. Per questo ora amo insegnare nelle università di Vienna e Londra. Per regalare ai giovani una chance, per ricoprire un ruolo di rottura.
marzia fossati
[exibart]
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